Vassallo fu ucciso da una persona che conosceva e, probabilmente, che non era bravo all’uso delle armi. Il suo corpo fu ritrovato riverso sul volante della sua auto, il finestrino aperto, le chiavi inserite, il freno a mano tirato e il cellulare tra le mani. Chi gli sparò esplose nove colpi di pistola. Troppi per essere stati sparati da un professionista, secondo gli investigatori, anche perché diversi andarono a vuoto. Vassallo si fermò di proposito a parlare con il suo assassino, a pochi metri da uno dei due ingressi alla sua abitazione. Questa fu la ricostruzione della dinamica fatta dalla Scientifica sulla base del ritrovamento del cadavere del sindaco. Una ricostruzione che stride con l’ipotesi sempre portata avanti di un omicidio di camorra che non ha mai trovato grandi riscontri investigativi. Figure di secondo piano sono state indagate ma si tratta di tracce labili che non hanno mai avuto seguito, lasciando dopo sei anni il grave delitto nell’oscurità più completa. Sulla carta c’è sempre un colpevole, Bruno Humberto Damiani detto il brasiliano che negli interrogatori sostenuti ha sempre negato ogni addebito. La versione di Bruno Humberto è sempre stata la stessa: conosceva Vassallo, lo aveva incrociato qualche volta ma non aveva mai scambiato alcuna parola se non un formale saluto. c’è chi attribuisce proprio ad alcuni errori commessi nella prima fase investigativa i ritardi nella soluzione di un delitto che sembrerebbe essere avvolto da non pochi misteri. C’è chi attribuisce proprio ad alcuni errori commessi nella prima fase investigativa i ritardi nella soluzione di un delitto che sembrerebbe essere avvolto da non pochi misteri. C’è poi il giallo della pistola, una calibro 9.21 baby Tanfoglio mai ritrovata nonostante fosse stata cercata un po’ dappertutto. Sono stati effettuati controlli su cento pistole, perquisizioni a tappeto, persino ricerche nelle acque a largo di Acciaroli dove il killer avrebbe potuto gettarla subito dopo il delitto. L’ultimo barlume di luce che tiene accesa la pista della camorra arriverebbe addirittura da Scafati e riguardano il clan Loreto- Ridosso e gli affari che facevano tra Casalvelino e Acciaroli. Un legame emerso nel corso delle indagini e delle migliaia di intercettazioni ambientali e telefoniche disposte negli anni successivi alla morte del sindaco pescatore. Ed allora si torna al punto di partenza, come un gioco dell’oca. Niente camorra, niente ‘ndrangheta come si era sbandierato. Il delitto nasce all’interno della comunità di Acciaroli. La pista della droga, fu la prima ad essere seguita. Durante l’estate 2010, il piccolo centro fu invaso dallo spaccio di stupefacenti. Questa situazione rappresentava, per Vassallo, «fonte di preoccupazione e di agitazione al punto da diventare oggetto di confidenze ad amici, parenti e collaboratori», come scrive il gip di Salerno Emiliana Ascoli nell’ordinanza emessa nel 2011 sullo spaccio di droga in Cilento prima di trasmettere gli atti per competenza a Vallo della Lucania. Pusher in grado di organizzare un omicidio così eclatante? Il movente è sempre apparso debole anche se la pista non è stata mai abbandonata. Seppur poco reclamizzata, se si guarda con occhio diverso l’episodio, appare decisamente più interessante la pista che va dagli abusivi edilizi alla concessione di licenze ed ai rapporti tra il sindaco Vassallo e persone anche vicini ai parenti. A chi disse no Vassallo? Nessuno ha mai chiarito questo aspetto investigativo Gira e rigira resta ben poco nelle mani degli investigatori se non le dichiarazioni ottimistiche di Roberti prima e Lembo poi che hanno sempre detto che l’assassino e i mandati sarebbero stati arrestati. Ora le luci si riaccendono per il sesto anniversario della morte del sindaco pescatore. Altro giro e altre dichiarazioni romboanti che non servono più a nascondere il clamoroso fallimento dell’Antimafia. Forse bastava cercare più vicino per acciuffare i colpevoli.
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