4 matrimoni, un funerale e il TFA - Le Cronache Attualità
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4 matrimoni, un funerale e il TFA

4 matrimoni, un funerale e il TFA

Di Nunzia De Falco

Nei giorni scorsi è rimbalzata la notizia di un atto lodevole compiuto dall’Università “Kore” di Enna, che ha consentito a una candidata di svolgere l’esame di ammissione al percorso di specializzazione sul sostegno in ospedale, presso il “San Marco” di Catania, a ridosso del parto. La notizia è stata condivisa da diverse testate che analogamente -probabilmente sotto la spinta del medesimo comunicato stampa- elogiavano la commissione per essersi in ospedale a svolgere il colloquio di ammissione; la celerità nella pubblicazione del decreto che lo consentiva; la gratitudine della candidata-partoriente, con annesso riferimento a una (fraintesa) spinta a favorire la parità di genere. In uno scenario in cui certe concomitanze inducono a perdere la possibilità di concorrere, la decisione della “Kore” non era scontata ma, al tempo stesso, ritenere che questa fosse ‘la’ soluzione, crea un urto dissonante. Ed ecco che il caso di empatia mista a social washing è stato come un boomerang. Se non si percepisce l’effetto disumanizzante di una tale necessità risolutiva, siamo intorpiditi da logiche che hanno deteriorato l’umanità. Nel commentare sui miei profili social il video in cui racconto la notizia, c’è stata una condivisione collettiva di storie strazianti in cui, con lacrime agli occhi e ferite dolenti, i docenti si sono trovati a dover scegliere di sostenere esami mentre si svolgevano funerali di parenti stretti, o sotto gli effetti di cure oncologiche in corso, o con le ferite semiaperte e punti di sutura ancora dolenti. Un setaccio preruolo che racconta un altro capitolo della disumanizzazione della nostra società: sei disposto a cucire le palpebre e non piangere, se sei a due passi della camera mortuaria di tuo padre, mentre ti interrogo a distanza? a viaggiare attaccato alla flebo per raggiungere la sede di una prova concorsuale mentre stai male? a discutere un esame a rottura delle acque avvenuta? La risposta spesso è: “Sì, ho investito energie e risorse, quindi mi do mille pizzichi e vado”. Altrimenti perdo tutto. Questo sentimento di sconfitta è una macchia collettiva e non va imputato al singolo. Ho condiviso sui miei profili social parte di queste storie che raccontano di date di prove concorsuali concomitanti a parti o funerali; discussioni conclusive di abilitazioni sovrapposte a interventi e terapia salvavita; presenze obbligatorie di corsi caramente finanziati non saltabili, neanche sotto incidenza dei momenti più delicati dell’esistenza. Una di queste storie è anche la mia e ricordo bene come ci si sente a dover scegliere, sentendo la voce che sussurra all’orecchio: “mio padre così avrebbe voluto” che spinge ad andare. Ho solo accennato a quello che ho vissuto qualche anno fa e alla scelta che ne è conseguita, perché la ferita ancora aperta della morte di un genitore, che arriva quasi improvvisa, non è sanata. Assistere a un affetto primario su un letto di morte ti cambia la vita per sempre: mentire per concedere l’illusione di una morte meno imperitura, mentre cerchi di sorridere e di rassicurare, mi fa piangere ancora, in questo momento, mentre scrivo. La sabbiolina scorre nella clessidra troppo velocemente e per un sortilegio d’amore e di dolore, quei minuti si dilatano e diventano agglomeranti di un’intera vita. Il solco emotivo provato, nell’aver vissuto questo, mi stringe ancora di più ai colleghi, docenti di tutta Italia, che mi hanno raccontato le loro storie. Nelle differenze degli eventi, hanno un punto in comune: l’improcrastinabilità dinanzi alla quale siamo stati messi, non è semplicemente istituzionale. In molti di questi casi, c’erano scadenze ministeriali da rispettare, regolamenti e decreti che rendevano inammissibile una proroga, spese contingentate per commissioni che non potevano lavorare un giorno in più…situazioni da risolvere in fretta, spesso sotto la spinta di ritardi a monte. Insomma, è quello che chiamiamo “sistema” a raccontare il volto meno umano di una società capitalistica annichilita nelle logiche lavoriste, quelle della produttività a ogni costo e dei risultati “aziendali” da portare a casa nei tempi previsti. E allora, forse, è arrivato il momento di chiedere a gran voce che la maglia normativa sia un poco più larga, per includere l’accoglienza di situazioni in cui il bivio non può essere vita/morte vs esame. Le presenze obbligatorie di percorsi abilitanti e di specializzazione non devono lasciar obliterare l’umanità di un benvenuto o di un addio. Si potrebbero risolvere (come avvenuto su mio suggerimento, accolto dall’allora direttore Saverio Vizziello, mentre ero coordinatrice del percorso 24 crediti presso il conservatorio “Duni” di Matera), con “doppie turnazioni” di frequenza o con quote di lezioni di recupero che, con gli introiti che giungono dalle iscrizioni non sarebbero difficili da sostenere, logistica annessa. Le date delle prove concorsuali devono includere delle deroghe per casi conclamati di lutto, parto o cure oncologiche. Forse, è arrivato il momento di smuovere con uno scossone assurde logiche che si sono vestite di irreversibilità, di infilare un po’ di empatia sincera nei decreti, nei regolamenti di istituto, nei bandi di concorso e lasciare aperto il varco della possibilità di una scelta meno feroce, a monte di questo sistema che talvolta tritura le emozioni.