La trilogia: enigma mozartiano - Le Cronache
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La trilogia: enigma mozartiano

La trilogia: enigma mozartiano

Questa sera, alle ore 21, il sipario del teatro Verdi si alzerà su “Le Nozze di Figaro”, per la regia di Ivan Alexandre e sul podio Giovanni Conti, alla testa dell’orchestra giovanile Luigi Cherubini.

Di OLGA CHIEFFI

Mozart è un perenne interrogativo, anzitutto per chi lo ama. Ci si torna su continuamente come una matita si va su una moneta nascosta sotto un foglio di carta, sfregando e risfregando: la figura che appare, magari è sempre quella, ma il nero del lapis ora accentua una linea ora ne accentua un’altra, e tutto il resta sembra perso alla memoria, indecifrabile. Mozart ce lo guadagniamo ad ogni ascolto. Puoi canticchiare quasi senza accorgertene l’aria di Cherubino, “Voi che sapete che cosa è amore”, ma se scarti appena un po’ da quel grappolo di note con le quali sei sicuro di avere una consuetudine senza grinze, e cerchi di capirle, cerchi di avvertirne il senso non più semplicemente acustico, capisci che stai avventurandoti per le sabbie mobili. Ne avremo prova già da stasera, quando i riflettori del teatro Verdi si accenderanno sulla prima opera della trilogia mozartiana, frutto di una produzione franco-svedese  Drottningholm Slottsteater, in coproduzione con Chateau de Versailles spectacles di respiro europeo, ispirata per la parte italiana, da Riccardo Muti e Daniel Oren, nel segno di questo incontro sopra le righe tra Mozart e Da Ponte. Le Nozze di Figaro che verranno messe in scena questa sera, per la regia di Ivan Alexandre e sul podio Giovanni Conti, alla testa dell’orchestra giovanile Luigi Cherubini, mentre al fortepiano siederà Lars Henrik Johansen, hanno il loro equilibrio nella struttura, nella natura della musica. Nelle Nozze il sorriso è ancora fresco, il tono drammatico filtra qua e là in accenti dolorosi ed emoziona il frenetico movimento dell’intreccio, ma tende a nascondersi tra le pieghe del pettegolezzo con una specie di amara disinvoltura. L’operista sembra ancora appartenere a quella salisburghese “Società di tiro a segno”, cui anche la sua famiglia era iscritta, e che rappresentava la traduzione giocosa di uno spirito caustico, molto caro alla madre di Mozart e alla classe media in genere. La commedia si veste, intanto, di un tessuto sonoro miracoloso, genialissimo e maturo. Wolfgang impartisce lezioni di tecnica compositiva a tutto spiano, con la stessa impertinenza, si direbbe, con la quale da ragazzo, a sei anni, non voleva suonare se tra gli uditori non ci fosse qualcuno che capisse a fondo il valore della sua esecuzione, tanto che qualche volta gli amici lo ingannavano, facendogli credere che ci fossero dei critici in sala. Con questa impertinenza ed esorbitanza di mezzi, il musicista trentenne, può così raffigurare lo spirito di corte, e intanto prende le distanze da una società che, tra il fanciullesco e l’ipocrita, va sciupando in un circolare isolamento, gli ultimi giorni di libertà. La musica trabocca limpidezza, sciorina brillii, nella dissipazione di una giovinezza creativa, perfino snervante, in una ripetuta serie di garbetti, ritrosie, stoccate, morsetti, capricci, smiagolii, tintinni e piumette, scoccano i raggi tremendi di un vicino tramonto, che porterà poi ombre lunghissime e sanguinose. La malinconia ancora si rivela come “dono di soffrire” e stringe una materia luccicante nei blocchi di un procedimento che ora è sommesso, ora trasalisce, pur senza tradire l’etichetta, per non dire la moda. Il merito va anche al libretto di Da Ponte, alla sua energia verbale che, nel segno dell’eleganza, incide con forza sulla critica dei costumi. L’intreccio? Piacevole. uno sposo seduttore, donnaiolo, il Conte D’Almaviva, che avrà la voce di Clemente Antonio Daliotti, contrariato, stancato, smorbato, sempre bloccato nelle sue voglie, è obbligato tre volte nella stessa giornata a cadere ai piedi della Contessa, Lucrezia Drei, che buona, indulgente e sensibile, finisce per perdonargli. In casa del Conte la coppia popolana Figaro Robert Gleadow e Susanna, Arianna Vendittelli. A completare il cast Barbarina, Manon Lamaison, Cherubino, Miriam Albano, Bartolo/Antonio Norman Patzke, Marcellina, Valentina Coladonato, e Don Basilio/Don Curzio Paco Garcia. A Salerno come a Praga nel 1787 accadrà che “Qui non si parla che de Figaro, non si suona, non si strombetta, non si fischia, non si canta che Figaro”.