di Carmine LANDI
BATTIPAGLIA. «Vanno fermati!». Chi parla è Fernando Zara: l’ex-presidente del consiglio provinciale, al momento candidato alla massima assise consiliare regionale con la lista civica “Caldoro Presidente”, invoca le manette per i protagonisti di un controverso affaire Acerno, relativo a quella che fu la colonia montana delle Ferrovie dello Stato.
Acerno? Sì, ma non solo: l’invettiva dell’ex sindaco del comune di Battipaglia, infatti, lancia velenosi strali d’accusa all’indirizzo di dirigenti e vertici dell’amministrazione provinciale. In particolare, Zara punta il dito contro Angelo Michele Lizio, responsabile del settore Patrimonio e Gestione degli immobili, che fu nominato all’epoca in cui la più prestigiosa poltrona di via Roma, a Salerno, era occupata da Angelo Villani, e che, di recente, s’è visto assegnata dal nuovo presidente della provincia, Giuseppe Canfora, anche l’importante carica di dirigente del Patrimonio scolastico e Programmazione della rete scolastica.
L’uomo, che fu tirato in ballo all’epoca del processo contro l’ex primo cittadino di Tramonti, Armando Imperato, con l’accusa di aver falsificato i dati relativi alla proprietà, risulta coinvolto anche nel processo “Due Torri”, incastrato da alcune intercettazioni telefoniche con Franco Alfieri, sindaco di Agropoli nonché candidato alle elezioni regionali con la casacca del Partito democratico; il nome di Lizio, inoltre, non sarà nuovo ai battipagliesi che si sono interessati della vicenda relativa al chiosco – poi abbattuto – dinanzi al liceo scientifico “E. Medi”, dal momento che fu proprio lui ad assegnare a Paola Coppola la controversa concessione che, a detta di Zara, «è illegittima perché non c’è un bando; altro che volumetrie».
Si parla dell’ex-colonia montana, che era di proprietà delle Ferrovie dello Stato, di una palazzina adiacente e del parco antistante, di circa due ettari. Una grande struttura, di proprietà della provincia di Salerno, che richiede, tuttavia, notevoli esborsi in termini di messa in sicurezza: si parla, infatti, di più di un milione di euro necessari.
«Negli ultimi giorni di novembre 2013 – racconta Zara, che all’epoca dei fatti era il numero uno dell’assise consiliare nell’aula di palazzo Sant’Agostino – riunimmo il consiglio per determinare, in seno al bilancio preventivo, la lista dei beni alienabili e, in quell’occasione, deliberammo, a fronte di note tecniche, una valutazione di 1,5 milioni di euro per la struttura acernese».
Somme da capogiro, insomma. «Convocammo – prosegue l’ex-sindaco battipagliese, nuovamente l’assise consiliare per parlare delle forme di gestione; in quella sede, all’unanimità, maggioranza e opposizione approvarono la forma della società consortile, accogliendo una proposta della Cooperativa Studi Parlamentari di Roma». La società consortile è qualcosa di più di una partecipata: il pubblico conferisce il bene e, all’interno del comitato di amministrazione, detiene la maggioranza; accanto ai rappresentanti dell’ente provinciale, dunque, si sarebbero seduti al tavolo di gestione anche il professor Carlo Pacella, presidente della società capitolina, e tutti i privati che avrebbero scelto di aderire al bando.
«Mettemmo su – continua il candidato alle regionali – per la valorizzazione del bene il “progetto Acerno” , identificando le linee di sviluppo, col placet del consiglio provinciale; a fine gennaio, dunque, andai ad Acerno, dove, in compagnia del sindaco, Vito Sansone, presentai con una conferenza stampa la delibera che ratificava la struttura consortile, e invitai tutti i privati della zona, cosicché nessuno potesse pensare che io avessi già qualche azienda tra le mani».
Poi, però, arrivò un san Valentino che si rivelò davvero galeotto: «il 14 febbraio del 2014 – racconta infatti Zara – un privato, tale dottoressa Pantalena, fece una proposta d’acquisto (nei cinque anni precedenti alla ratifica della pista della società consortile, mai nessuno aveva offerto soldi per i beni, NdA) al ribasso: 800mila euro».
700mila euro in meno: nessuno avrebbe mai accettato. Dalle parti di via Roma, però, andò diversamente: «il 21 febbraio del 2014 – prosegue l’ex-sindaco di Battipaglia – , in barba alla canonica tempistica, Lizio fece l’elenco dei beni alienabili e lo portò in Giunta, con quest’ultima che approvò, senza il corredo di alcuna proposta tecnica (Zara fa riferimento ai fatti dell’epoca, NdA), la valutazione di 800mila euro»
Decisioni che, senza l’approvazione del consiglio, servirebbero a poco: l’assise consiliare, però, non fu affatto tirata in ballo, e, stando a quanto riferito dall’ex-consigliere regionale, «il 26 febbraio del 2014 fu stilato un contratto di vendita dei beni, firmato da Lizio, con la Pantalena che presentò un anticipo di 30mila euro».
A tal punto, Zara avrebbe telefonato il presidente facente funzioni della provincia, Antonio Iannone, che, a fronte delle rimostranze del battipagliese, avrebbe risposto con un lapidario “hai torto!”. In barba alla delibera consiliare che aveva dato l’assenso alla struttura consortile.
«A metà marzo – continua Zara – riproposi la struttura consortile durante un altro consiglio provinciale, al quale parteciparono anche la Pantalena e “il soggetto” Iannone: durante la seduta, il consiglio comunale deliberò l’inalienabilità dei beni, che fu poi sancita dalla giunta».
Tutto sospeso, ma i 30mila euro di acconto non furono restituiti. A Settembre, poi, stando a quanto riferito dall’ex-sindaco di Battipaglia, il Tar di Salerno ritenne inamissibile il ricorso presentato dalla Pantalena.
«Tuttavia – racconta Zara –, in un atto di governo del luglio 2014, Iannone citò i beni acernesi come “in vendita”; il 5 ottobre, dunque, Lizio chiamò Pantalena e i suoi e fece un contrattino, prendendo altri 50-60mila euro prendendosi il bene. Tutto rescisso: ad aprile 2015, dunque, dovrebbe esser fatto l’atto finale di vendita, e la Pantalena dovrebbe aggiungere ai due acconti gli altri 700mila euro per l’acquisto».
Ed eccoci, siamo ad aprile. Zara tuona: «la vendita è illegittima, e va sospesa! La magistratura intervenga, perché ci sono delle anomalie evidenti».