Brigida Vicinanza
Un processo oramai che sta per volgere al termine. Il caso Crescent potrebbe concludersi dopo l’estate e potrebbe determinare o meno le condanne per gli imputati già richieste dai pm Rocco Alfano e Guglielmo Valenti, tra cui quella di 2 anni e 10 mesi per l’attuale governatore della Campania Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno all’epoca dei fatti. Ieri mattina un’udienza in cui gli avvocati difensori hanno discusso le arringhe per i propri assistiti. Ma anche un “colpo di scena” con le dichiarazioni spontanee di Zampino, l’ex sovrintendente di Salerno, che ha voluto esporsi in prima persona per dimostrare l’innocenza. A difendersi è stato Giuseppe Zampino, all’epoca dei fatti, a capo della Soprintendenza di Salerno. «In partenza voglio sottolineare che non conosco Rainone, Chechile, Dattilo e De Luca lo conosco solo per motivi professionali – ha sottolineato nelle sue dichiariazioni spontanee Zampino – nessuna previsione di legge inoltre prevede che le Soprintendenze debbano effettuare un controllo sulla titolarità della proprietà, questo spetta all’amministrazione comunale». Poi prosegue, ponendo l’accento sulle a u t o r i z z a z i o n i paesaggistiche: «Non comprendo l’accusa mossa a noi in base alla quale avremmo dovuto annullare l’autorizzazione paesaggistica per motivi di legittimità se il Comune aveva integrato la documentazione con foto, inserimenti esaustivi, visto che consentivano una visione di insieme e non frammentaria di una zona da tutti giudicata molto degradata, di rilevanza paesaggistica praticamente nulla». Poi Zampino ha dichiarato: «Non capisco perchè così tanto rumore per il Crescent e tanto silenzio invece per il progetto realizzato da Fuksas a via Irno su committenza privata, che presenta notevoli analogie con quello di Bofill». E poi una nota importante sulla “mutilazione” dell’opera senza il parere dell’architetto: «Il Consiglio di Stato ha indotto il soprintendente Miccio a formulare pare con la prescrizione di mutilare l’edificio di Bofill per ridurne l’impatto. Uno stravolgimento di un’architettura di cui non è stato nemmeno informato l’autore». Insomma, De Luca, secondo la difesa ha soltanto “provato” a dare un volto nuovo alla città laddove il degrado e la fatiscenza la facevano da padroni. Il dibattito si è aperto però con la difesa proprio di Vincenzo De Luca, rappresentato dall’avvocato Paolo Carbone che in una lunga ricostruzione dei fatti, chiede l’assoluzione a formula per l’attuale governatore della Campania perchè il “fatto non sussiste”. Si parla di rapporti intrecciati, di autorizzazioni paesaggistiche, di modifiche al Pua e di un’opera che da pubblica diventa privata (almeno secondo le accuse e secondo anche le costituzioni di parte civile). «Ci sono troppe aspettative in questa vicenda giudiziaria. Si gioca tutto sull’essere pro o contro De Luca, se è simpatico o meno». Un’arringa durata un’ora e 20 minuti, durante i quali Carbone ha provato a smontare le accuse della Procura che contesta al presidente della giunta regionale i reati di falso ideologico, abuso d’ufficio e reati urbanistici. «Ci sono troppi rivoli secchi – ha continuato Carbone, che poi dice di parlare da cittadino – facendo quattro passi, ho guardato il Crescent e Piazza della Libertà. Non sono in grado di esprimere giudizi estetici, ma so che le città progrediscono con queste scelte. Ho guardato queste opere che hanno trasformato la mia città e devo dire che mi sono sentito orgoglioso. Queste opere portano la firma di grandi artisti. Devono rimanere, rimarranno come scelta politica, di coraggio e soprattutto morale». Si attendono ora le dichiarazioni spontanee proprio di De Luca, all’udienza del 20 luglio.