Questa sera, alle ore 21,30, uno degli eventi clou di questa LXX edizione della rassegna della Città della musica. Il trombettista dall’anima classica si presenterà in pubblico con gli Italian Friends Wynton Marsalis accanto ai suoi “Italian Friends”, Stefano Di Battista ai sassofoni, Dado Moroni al pianoforte, Carlos Henriquez al contrabbasso e Francesco Ciniglio alla batteria
Di Olga Chieffi
Ci lasciammo con Wynton Marsalis undici anni fa dopo, in un magico “after hours” in cui il trombettista, in quartetto, sostenuto dalla ritmica, con Ali Jackson alla batteria , Dan Nimmer al pianoforte e Carlos Henriquez al basso, improvvisò, per l’assoluto piacere di farlo, dialogando con quel linguaggio dell’azzardo e della sfida, che è l’essenza del jazz, dopo un concerto sopra le righe con la sua Big Band con un finale in blues e un Wynton trasformatosi in cantante, il quale “chiamò” il sax di Walter Blanding, e la superba tromba di Marcus Printup, per salutare in bellezza la ribalta di Villa Rufolo. Stasera, alle ore 21, 30, il suo ritorno, per festeggiare insieme i 70 anni del Festival, oggi affidato alla visione musicale di Alessio Vlad e i venti della fondazione, che aprì al grande jazz il suo cartellone. Il finale di quel magnifico concerto improvvisato da un quintetto e quella formazione ritroveremo questa sera, composta dagli amici italiani, Stefano Di Battista ai sassofoni alto e soprano, Dado Moroni al pianoforte, Carlos Henriquez al contrabbasso e Francesco Ciniglio alla batteria, in prova già da qualche giorno a Ravello, per un programma che è l’essenza del messaggio che lancia da sempre il trombettista, che mira a un “livello superiore”, sia per i musicisti che per il pubblico, per trarre il massimo profitto comunicativo e la massima soddisfazione dall’esperienza della performance, ma estendibile a ogni idioma musicale la cui natura e forma è o dovrebbe essere in stretta interdipendenza con la cultura e la tradizione che l’ha generato, come componente profondamente umana e irrinunciabile. Quindi, in scaletta ci sono titoli che fanno parte dell’esegesi del jazz, quale St.Louis Blues, di Handy, poiché da famoso jazzista moderno qual è, afferma che il più grosso errore che può commettere un jazzista è allontanarsi dal blues, blues come esperienza, realismo, storia, cultura, tradizione, estetica, verità, schiettezza, armonia sulla quale costruire una melodia. Non solo, oltre alla centralità del blues nella musica jazz, Marsalis sente la necessità dello swing come il miglior, se non l’unico possibile, modo e veicolo di comunicazione e rapporto con se stessi, riconoscendolo quale fulcro della musica americana, facendo sempre attenzione a curare l’idea di insieme ma lasciando libero ogni strumentista di esprimersi, nel momento in cui sarà il momento del suo solo, alla ricerca di quell’equilibrio che tiene tutto insieme e che se difetta crea caos. Il concerto principierà con Invitation di Bronislau Kaper, track list della colonna sonora del film del 1950 A Life of Her Own, con Lana Turner musica lussureggiante riciclata appunto per il film Invitation con Dorothy Maguire e Van Johnson e portata al successo da John Coltrane, in seguito. Si passerà, quindi a St. Louis Blues, un omaggio a New Orleans, ai suoi dioscuri, che ritroveremo anche in Madame Lily Devalier, un blues ironico e claudicante di Stefano Di Battista, per poi continuare con il tributo a Duke Ellington, uno dei numi tutelari di Wynton Marsalis con Caravan, firmata dal trombonista Juan Tizol, speziata quanto l’icona di un pacchetto di Camel. Tributo a Parker, “Bird”, con Ornithology, che nasconde tra gli accordi How High the Moon, per andare su e giù tra le vette dello strumento. Wynton con la tromba fa quello che vuole: la tecnica ha lascerà attoniti, per il completo controllo della più ampia varietà di dinamiche sonore, dei passaggi più complicati, di una voce che sa dispiegarsi pulita e risonante o accartocciarsi nei growls, nei mezzi toni o nei soffi, come nei sempre calibratissimi suoni fuori registro, e ce ne accorgeremo attraverso la melodia spiegata di Caruso di Lucio Dalla, come in Metti una sera a cena di Ennio Morricone. Si passerà, quindi per la ballade You don’t know what love is di Gene de Paul. Finale con Resolution, il secondo brano di A Love Supreme, di John Coltrane, uno dei temi tra i più raffinati e articolati, con quei suoi spiazzanti intervalli di quarta, del grande tenor sax e Coco Chanel un omaggio alla mano sinistra del diavolo Django Reinhardt, alla sua musica eccitante, carica ora di tensione, ora di leggerezza, quasi eterea, il suo ritmo percussivo la pompe che dà alla musica la sensazione di oscillazione rapida, il risultato delle influenze tzigane ereditate dalla sua vita immersa nella tradizione gitana e delle contaminazioni della sua vastissima cultura in musica classica, che sposa anche il credo marsalisiano Un vero e proprio infinito ponte questo concerto, poiché la musica afferra il presente, lo ripartisce e ci costruisce un ponte che conduce verso il tempo della vita. Colui che ascolta e colui che suona vi ci trova un amalgama perduto di passato, presente e futuro. Su questo ponte, finchè la musica persiste, si andrà avanti e indietro.