di Antonio Manzo
. Capita a Salerno, Anno Domini 2023. Da qualche settimana gli ingressi della Chiesa Cattedrale di San Matteo e a quella storica di San Giorgio sono presidiati da solerti addetti che consentono l’accesso ai fedeli, non necessariamente solo turisti, previo il pagamento di una tariffa di 10 euro, comprensiva della visita alle due chiese e al Museo diocesano. Non è infrequente la domanda indirizzata al fedele sul “dove va” per esser rassicurati, dagli arcigni controllori, sulla legittima e immediata corresponsione dell’obolo. È una sorta di tassa sui turisti, non c’è dubbio, che spesso serve ad incamerare un po’ di danaro per la doverosa tenuta delle Chiese, visto la crescente disaffezioni dei fedeli a contribuire al mantenimento dei luoghi sacri, specialmente quelli che sono, quasi tutti, patrimonio artistico. Quella che raccontiamo è una storia italiana che piacerebbe allo storico dell’arte toscano, Tomaso Montanari autore di un libro recente sulla “Chiese chiuse” e sulle conseguenze, anche affaristica, della desertificazione degli edifici di culto. E lo ha fatto per prevenire l’eventuale accusa di blasfemia nel racconto dell’Italia sacra che crolla con i monumenti religiosa con ben 67.396 Chiese ( di cui 66.251 pubbliche) in 219 diocesi italiane. A Salerno, almeno nelle due chiese citate e verificate con l’accesso a pagamento, sorge immediatamente il dubbio se i frequentatori salernitani non siano ostacolati nella realizzazione del pio desiderio di pregare, di avvicinarsi ai sacramenti e via di seguito.
Nulla da eccepire sulla comprensibile necessità di fare cassa per il decoro delle chiese ma che scrivono ripetute circolari dei governi italiani alla Conferenza Episcopale italiana. Ma l’Italia – sostiene Montanari – ha il dovere tutto particolare di investire denaro per tenere aperte le chiese (non per fare un ennesimo favore alla Chiesa cattolica) ma per favorire la qualità della vita democratica. Sì, come una grande scuola di umanità aperte a tutti, per riprendere le parole del grande storico dell’arte Berard Benson . Di tutt’altra idea l’allora ministro dei beni culturali Dario Franceschini, incasellato da quarant’anni come inossidabile cattolico in politica, quando nel 2017 scrisse al vicario del Papa a Roma, il cardinale napoletano Augusto Vallini, e dichiarò la preoccupazione del governo per la mancata copertura dei costi di manutenzione di San Giovanni in Laterano e la proposta di proporre l’introduzione dei biglietti per l’accesso alla Chiesa monumento. Il cardinale Vallini rispose garbatamente al cattolico Franceschini: “Non se ne parla proprio, al massimo per l’accesso al Pantheon potrebbe esserci un biglietto di 2-3 euro ma con l’accesso libero nel corso delle attività religiose”.
Non sfuggirà alla raffinata sensibilità culturale dell’arcivescovo Andrea Bellandi la valorizzazione e la gestione dei beni di Salerno Sacra, e che ha indotto l’arcivescovo salernitano a prendere in mano l’argomento e sottoporlo ad un oculato progetto da “ingegneria curiale”. Una chiesa a pagamento non è più una chiesa, ma non diventa per questo un museo. Proprio l’arcivescovo Andrea Bellandi, di origini fiorentine, ricorderà l’articolo-saggio che il sociologo francese Pierre Bourdier compilò nel 1982 dopo aver osservato a lungo il comportamento dei fedeli e dei visitatori nella chiesa di Santa Maria Novella che perdeva la sua identità di chiesa. Il patrimonio artistico salernitano non è paragonabile a quello fiorentino, ma Bourdieu concluse il suo saggio con la sorpresa di non vedere più i cittadini in chiesa oltre i fedeli e i turisti. Osservò di non aver visto gli umani in quanto tali: il popolo elettivo delle antiche chiese italiane. E dall’82 la situazione della fede come della cultura si è aggravata: a Napoli su 416 chiese 231 sono aperte e 144 chiuse 39 sono aperte su richiesta. La diocesi di Napoli ha organizzato una rete di cooperative giovanili per il recupero del patrimonio artistico. A Salerno la richiesta del biglietto d’ingresso ripropone anche il tema delle chiese sul territorio. Clamorosa l’offerta di vendita di una chiesa del 1300 di Olevano sul Tusciano con la possibilità di una lottizzazione edilizia sullo stesso terreno (agenzia immobiliare.it). Poi ci sono le chiese antiche, anche artistiche senza più una guida pastorale e spesso senza parroco, che sono piccoli gioielli d’arte finiti nelle mani dei privati non solo per fini vagamente culturali con il recondito pensiero perfino di appropriarsene privatamente. Poi ci sono i misfatti della tentazione immobiliare di quella che fu la Chiesa salernitana: nel popoloso quartiere Paterno di Eboli fu costruita una chiesa che dapprima fu abbandonata, poi utilizzata come garage di un autosalone e definitivamente dichiarato rudere, abbandonata da decenni (la parrocchia funzione ancora in locali impropri dal 1962).
Ma il fatto scandaloso è che la Chiesa salernitana negli anni Settanta decise di costruire una chiesa poi mai aperta. Nel contempo venti anni fa la chiesa vendette il terreno circostante alla chiesa rudere ad un privato che realizzò parzialmente un parco, con la scandalosa e dolosa dimenticanza della chiesa rudere di proprietà della chiesa divenuta una agenzia di affare immobiliare ma per un privato.
Proprio la chiesa salernitana fu protagonista negli anni post bellici (epoca arcivescovo Moscato) della ricostruzione e nuova costruzione di chiese con l’ufficio tecnico diocesano diretto magistralmente da monsignore Giuseppe Bergamo. Poi vennero gli anni della pastorale del cemento con narcisismi localistici e affari di bottega clericali che “non esprimono un sano amore per il proprio popolo e la propria cultura” avrebbe detto papa Francesco anni dopo nell’enciclica Fratelli tutti.