Concetta Avallone, di 44 anni; Pietro Avallone, di 12 anni; Giovannina Di Mita, di 45; Domenico Fasano, di 26; Lucia Fasano, di 22; Pietro Fasano; Maria Giordano, di 21; Raffaele Giordano, di 21; Raffaele Giordano, di 16 anni; Anna Lombardo, di 28; Gerardo Nunziante, di 16 e Giuseppa Pellegrino di 36 anni. Sono i nomi delle 11 vittime, nate a Vietri sul Mare, della tragedia di Balvano, il più grande disastro ferroviario di tutti tempi, che saranno incisi, grazie all’iniziativa fortemente voluta dal sindaco Francesco Benincasa, su una lapide che sarà collocata, il 3 marzo del 2014, in una delle strade o piazze del Comune, a 70 anni dal giorno in cui è avvenuta la tragedia che è stata raccontata nel nuovo libro di Patrizia Reso: “Senza Ritorno”, edito da “Terra del Sole” nel quale, con rabbia, l’autrice ha cercato, intervistando alcuni superstiti e le famiglie delle vittime, di far riemergere la tremenda storia del treno merci a vapore che, sulla tratta Potenza – Napoli, nella notte tra il 2 e il 3 marzo del 1944 si ingolfò nella salita della “Galleria delle Armi”, ora soprannominata la “Galleria della Morte”, nei pressi di Balvano, causando le esalazioni del carbone, di scarsa qualità e quindi più tossico, fornito dagli alleati, sprigionato dalle due locomotive del convoglio, sovraccarico di passeggeri, che causò la morte per asfissia di oltre 600 persone. Solo gli occupanti gli ultimi due vagoni, dei 47 che costituivano il convoglio, si salvarono perché rimasero all’esterno della galleria lunga due chilometri. Il libro è stato presentato sabato sera, nell’Aula Consiliare del Comune di Vietri sul Mare, in un incontro promosso dal Circolo della Stampa Costa d’Amalfi, presieduto dal giornalista Alfonso Bottone, sempre attento a proporre e raccontare le storie poco conosciute del nostro territorio, e dall’amministrazione comunale, rappresentata dall’assessore Antonietta Raimondi, che ha annunciato l’iniziativa di apporre una lapide per ricordare le vittime vietresi della tragedia. Patrizia Reso, ha raccontato che di quella tragica notte, dopo qualche piccolo trafiletto sui giornali locali, un’inchiesta aperta e subito chiusa e alcuni tentativi di risarcimento quasi subito soffocati, è calato il silenzio e l’indifferenza. «Come se quelle vittime fossero state assorbite nel buio pesto della galleria. Si tentò di svilire anche la dignità di quei morti, diffondendo la falsa notizia che sul treno c’erano solo clandestini e contrabbandieri che andavano a Potenza per rifornirsi di roba da vendere al mercato nero», ha spiegato l’autrice, «Quasi tutti i cadaveri avevano addosso il biglietto. Forse ci sarà stato qualche contrabbandiere di professione, ma per la maggior parte erano persone che per combattere la fame, andavano a Potenza per approvvigionarsi». Tante le donne che, avendo i mariti al fronte, avevano la totale responsabilità del nucleo familiare. «Si misero in viaggio per raggiungere le campagne lucane dove si poteva ancora barattare una parata di letto o il laccettino d’oro, per 40 kg. di legumi o 50 kg. di farina necessari per far mangiare i propri figli. Non fu concessa loro neppure una degna sepoltura. I loro corpi furono accatastati in una fossa comune». Lo storico Alfonso Conte, dell’Università di Salerno, ha analizzato il periodo storico nel quale è avvenuta la tragedia: «Da poco l’Italia del Sud era stata liberata dai tedeschi. Salerno era stata eletta Capitale d’Italia e sede del primo governo Badoglio. La popolazione era strangolata dalla fame e dalla miseria. Era stata attivata la pratica della tessera annonaria attraverso la quale si erogavano alimenti non sufficienti a soddisfare le esigenze di tutta la famiglia. Le vittime di quel treno, anch’esse vittime della guerra, rischiano di essere cancellate dalla memoria pubblica. La tragedia di Balvano è uno dei primi misteri italiani». Tra i presenti, Enzo Galdi della Coldiretti di Salerno, nipote dell’eroico Vincenzo Cuoco, uno dei macchinisti del treno che prima di morire riuscì a trarre in salvo alcuni passeggeri.
Aniello Palumbo