Le continue trasformazioni, cui è stato soggetto l’impianto strutturale dell’abbazia di Cava de’ Tirreni, non consentono di offrire, anteriormente al XVIII secolo, un quadro eloquente in riferimento all’evoluzione architettonica dell’imponente complesso monastico. Occorrerà attendere la metà del Settecento per disporre di un’omogenea configurazione progettuale della Badia.
Il problema legato alle disomogenee quanto frammentarie testimonianze storico-architettoniche coinvolge, altresì, il settore delle arti figurative e ornamentali, che risulta, parimenti, di scarsa consistenza, non essendo caratterizzato da un tessuto unitario, in considerazione del fatto che le testimonianze si rivelano frammentate, nonché disorganiche, in quanto spesso rimosse dalla loro collocazione originaria. Vi sono, poi, affreschi residui che sono stati soggetti a trasferimenti e sottrazioni, tali da rendere complicatissima la risistemazione nel loro sito di origine. Attualmente le opere figurative sono in numero ridotto e presentano datazioni approssimative e saltuarie, tanto da non permettere di individuare alcuna stratificazione, sia pure approssimativa o sperimentale. Alcune sculture, come anche taluni frammenti pittorici, visibili presso il chiostrino del Cenobio cavense, risalgono, con ogni probabilità, alla prima metà del XIV secolo e sono espressione tangibile della temperie artistica invalsa nella Napoli angioina, precisamente durante il regno di Roberto D’Angiò. La cultura napoletana di tale epoca fu di chiara impronta toscana: si sviluppò sull’esempio di quella di stampo franco-provenzale. E proprio i lavori scultorei e pittorici concepiti in area cavese sembrano incarnare lo stile dell’arte d’oltralpe in stretto collegamento con quello di matrice toscana. Proprio sulla scia dell’affermazione della cultura fiorentina, e in genere toscana, nel tessuto socio-economico del regno angioino si inseriscono le testimonianze artistiche trecentesche presenti in seno alla abbazia benedettina cavense e risalenti all’epoca di Roberto D’Angiò, ovverosia a quella fase della civiltà gotica partenopea, nel corso della quale si affermò la tendenza a far riferimento al modello culturale toscano, come è testimoniato, in tal senso, nella Napoli dell’evo angioino, dall’attività di artisti del calibro di Simone Martini, Giotto e Tino di Camaino. Nell’ottica di una dettagliata presentazione delle opere scultoree e pittoriche custodite presso il museo della Badia di Cava, si può immediatamente segnalare una serie di bassorilievi di chiaro gusto trecentesco, che costituiscono un gruppo compatto per datazione, tratti stilistici ed identità tematica, fattore, quest’ultimo, identificabile in un elemento di coagulo quale la “Crocifissione”, malgrado sia andato perduto il suo fulcro, rappresentato dal “crocifisso” originale, sostituito da uno di minor valore artistico, collocato in una delle due cappelle edificate nelle adiacenze del chiostrino, frontalmente alla porta lignea di ingresso alla sagrestia. I soggetti caratterizzanti la predetta teoria di bassorilievi presentano precisi nessi tematici, come si evidenzia dalle immagini, emergenti dalla nuda pietra sapientemente trattata dalle mani dell’artista, della Madonna col bambino, della Madonna assistita dalle pie donne e da San Giovanni, dei Soldati che assistono alla morte di Cristo e di Sant’Alferio che presenta un abate vescovo e San Benedetto.
E’ il caso di citare, poi, l’interessante predella di epoca quattrocentesca, allestita sull’altare della cappella trecentesca della «Crocifissione», ubicata nelle adiacenze del chiostrino. Si tratta di cinque scene raffigurate a bassorilievo e riguardanti la «Passione di Cristo»: la preghiera nell’orto degli ulivi, la Caduta nell’ascendere al Calvario, il Cristo morto, recante i segni del martirio, la Flagellazione e il Cristo deriso. Colpisce, altresì, lo stile sobrio e allo stesso tempo raffinato, che affiora dal bassorilievo raffigurante l’annunciazione. Di sublime fattura appare la Madonna delle grazie, caratterizzata da ondulato panneggio della veste, che crea un notevole effetto chiaroscurale, che, a sua volta, accentua l’imponenza scultorea della statua, esaltata dall’andamento concavo della nicchia. Di provenienza toscana sono due tavole raffiguranti la Madonna ed il bambino (di cui una ritratta insieme a quattro santi), realizzate probabilmente nella prima metà del XV secolo, cui risale anche la statua lignea della Madonna col bambino, conservata ugualmente presso il Museo abbaziale, e, con ogni probabilità, scolpita ad opera di un maestro dell’Italia centrale.
Giuseppe Vitolo