Venturini: ambasciatore della musica napoletana nel mondo - Le Cronache Attualità

Dopo il grande successo del format Padre e Figlio, lanciato dal quadriportico del duomo di Salerno, per festeggiare i suoi cinquant’anni di carriera, lo abbiamo incontrato per continuare a svelare i nuovi obiettivi del nostro tenore tra aneddoti e note

Di Olga Chieffi

Con ancora negli occhi e nelle orecchie la serata “Padre in Figlio”, format creato da Salvatore Venturini per festeggiare i cinquant’anni di carriera del padre Bruno, un lungo pomeriggio, indi, il concerto, che possiamo dire sinestetico, poichè il carisma del tenore è riuscito far partecipare alla perfetta organizzazione dell’evento, un cartello infinito di imprenditori, di grandi figure della musica e soprattutto di pubblico un’unicità nell’unire e dar spazio a tutti i mondi da lui frequentati, dal teatro alla piazza, al molo del porto, dal bar al grande festival, dal commerciante allo stadio, dal dolciere al medico. Uno spazio quello del duomo, che è divenuto prima luogo d’incontro, uno spazio da esplorare, una nuova terra d’amicizia, in cui tutti hanno inteso ritrovarsi al fianco dell’uomo e dell’artista, provocando qualche dissapore e contestazione, prontamente risolta, per uno spettacolo che ha avuto una cornice di stordente bellezza, ma che avrebbe dovuto ricevere e lo avrà a breve l’abbraccio della grande piazza. Una serata onerosa “fatta” senza alcun contributo pubblico e per di più con una macchina organizzativa sostenuta per intero da Salvatore Venturini che la sera è pure salito degnamente sul palcoscenico da artista, cosa veramente non semplice. La domanda nella luce dorata d’ottobre è venuta naturale per Bruno.

In questi cinquant’anni come è cambiato il mondo della musica che lei ha attraversato e attraversa da protagonista?

“Purtroppo oggi è cambiato il modo di “fare musica”. Solo un trentennio fa le occasioni per fare gavetta, per lavorare e mettere in pratica ciò che si era appreso tra le mura di una scuola, di un conservatorio erano infinite, si suonava e “dal vivo” dappertutto. Oggi, quel gusto per l’arte, per l’arrangiamento, la responsabilità delle prove, il timore della piazza e del pubblico che era più colto e non ci pensava due volte a fischiare, è svanito. Oggi si usa l’elettronica, le orchestre non son tante e la “pratica” d’assieme, la lettura, l’arte anche di arrangiarsi, di affrontare un qualsivoglia uditorio è difficile da apprendere”. “Per di più – ha aggiunto Salvatore Venturini, artista della Universal Music Italia – il mercato digitale che permette sì la fruibilità, ma è specchio di questa nostra società liquida, usa e getta, spendita e ricarica inerti. La storia dell’industria discografica negli ultimi 20 anni è il racconto di una trasformazione radicale che vede il suo fulcro nel passaggio dal fisico al digitale. Mentre le vendite fisiche hanno ancora un peso significativo in alcune aree geografiche e per alcuni artisti e generi, non c’è dubbio rispetto al fatto che la chiave della crescita sia nello sviluppo e nella diffusione dello streaming. Le case discografiche e i distributori sono stati determinanti in questa evoluzione, rilasciando licenze per più di 40 milioni di tracce verso centinaia di servizi digitali nel mondo e sviluppando sistemi per un sempre maggiore accesso alla musica. Poi, l’immediatezza comunicativa del rap, trap, generi nuovi immediati come la scomparsa delle orchestre live, con grandi interpetri che si presentano anche solo con le basi ha fatto il resto. Ecco perché ho tenuto che questo grande evento fosse stato fatto su di un grande palco, con prove e orchestra”.

Non è poi tanto lontana la sua figura da quella di “Carusiello”, il giovane Caruso, un nome che è divenuto un mito e che da “emigrante” artistico ha portato l’opera lirica e le canzoni napoletane a essere conosciute e cantate in tutto il mondo, la sua storia, rappresenta un modello quasi simbolico del riscatto sociale attraverso l’arte che da sempre affascina il pubblico. Ma la voce, il canto e su tutto lo studio e l’abnegazione, l’ingegno, fecero il vero miracolo per Caruso, come per Bruno, idolo delle folle che cercavano quel sole e quel tepore della nostra regione, in quel canzoniere partenopeo, che lo rese celebre.

“E si, io frequentavo l’Istituto tecnico commerciale e il canto per me era una passione, i miei primi maestri furono Franz Carella, che dirigeva il liceo musicale di Porta Nova, e Alfredo Giorleo, che aveva una scuola a Piazza Ferrovia. Loro due sono stati i miei primi maestri di canto. La voce c’era, io avevo avuto la fortuna di conoscere Beniamino Gigli e Mario Lanza un binomio a cui posso aggiungere nei colori della mia vocalità anche Tito Schipa ed Enrico Caruso. Nel corso della mia vita, posso dire di aver ricevuto una carezza dal vescovo Demetrio Moscati, poiché mi fermavo sempre in duomo per una preghiera e Mario Parrilli, il quale mi assoldò per farmi fare la “posteggia” con i mandolini a Jacqueline Kennedy. Infatti, capitò che la Kennedy venisse in villeggiatura sulla Costiera amalfitana, a Villa Rufolo a Ravello, e così cantai per lei alle Arcate ad Amalfi, vestito da marinaio Le piacqui tanto che continuai per tutta la durata della vacanza amalfitana della signora. Sulla scia della stampa, sulla Kennedy, gli agenti dell’Organization Great Show, quando vennero in Italia per una tournée di cantanti italiani negli Stati Uniti, mi scritturarono, insieme a Sergio Bruni. Mi portai dietro anche un ragazzino di talento, Massimo Ranieri, che allora si chiamava Gianni Rock (e ricorda Massimo -ndr- che veniva inviato in ogni punto della sala per ascoltare e giudicare come si sentiva) e cantai all’Academy of Music di Brooklyn, dove si era esibito pure Caruso, dinanzi Bob Kennedy”.

Chi ha vissuto quegli anni ha potuto avvicinare i grandissimi, era quello il periodo delle grandi voci liriche e io vorrei aggiungere che fu un fiorire in tutte le arti, non si è mai sentito dire “Con una voce come la sua, come mai non si è dedicato in toto all’opera?

“Certamente, e sin da subito. Ma il mio maestro Giorleo, disse che se avesse dovuto avviarmi all’opera il timbro sarebbe poi risultato metallico e rinunciai. Però, io ho inciso anche le arie famose per tenore, da E lucevan le stelle a Recondita armonia, da Vesti la Giubba alle celeberrime romanze di Tosti, per un confronto-sfida con Luciano Pavarotti che aveva inciso in bell’ordine tutte le canzoni del mio “Oro di Napoli” per la Decca. Volarono nomi grossi, Carlos Kleiber voleva mi ritirassi per due anni dagli impegni, ma io rifiutai per una questione di coerenza e per amore del pubblico che mi attendeva in tutto il mondo”.

Ma non solo Napoli, lei ha fatto anche l’urlatore

“E si ho cantato veramente tutto, quando ebbi il contratto Durium significava entrare nelle case degli italiani ogni giorno. E così Milano conobbi Mina e mi proposero di provare il rock, così cantai “Colpevole”.

Ma c’è anche un twist

“Partecipai al Festival della canzone napoletana con Jenny Luna, rockstar romana, con il brano “Tu iste a Surriento”, con cui contaminai il festival napoletano, rompendo ogni schema”.

Cento milioni di dischi, i cinque continenti toccati, dalla Russia alla Cina, incontri celebri?

“Sono stato il primo artista occidentale ad essere invitato a Pechino, in Cina, nel 1984. Ho cantato a Piazza Tien An Men, davanti a due milioni di persone. Poi, sono stato il terzo cantante italiano a fare una tournée in Russia, dopo Claudio Villa e Domenico Modugno e ancora Vienna, Giappone, in Canada, Usa, in Australia, in Brasile, in Argentina, in Germania e in tutta Europa, e perfino ad Anchorage, in Alaska, per le truppe americane della base Nato, al Polo Nord. Ho ricevuto il Lenin D’Oro da Leonida Breznev in un concerto in cui la musica fece il miracolo del disgelo Urss-Europa occidentale, in una tournée che mi permise di sposarmi con la mia Mena, lì l’incontro con Raissa e Gorbaciov che si innamorarono della mia “Dicitencello vuje” e gliela dovetti cantare anche qui quando vennero da ospiti al Giffoni Film festival”.

Chiaramente il duomo di Salerno è stato solo un punto di partenza….

“Si certo. È in programma una tournée che ci porterà con questo spettacolo a Pechino, Tokyo, Sidney, New York e…. mi vedo con gli amici di sempre e la Arechi Symphony Orchestra, con Danilo Gloriante che veniva con me da piccolino col suo violino, Antonio Senatore il flauto magico insostituibile in Acquerello Napoletano il contrabbassista Ottavio Gaudiano gli strumentisti “sanremesi”, del calibro di Salvatore Mufale al pianoforte, Elvezio Fortunato e Nicola Costa alla chitarra o Luca Visigalli al basso, oltre a tante eccellenze salernitane, quali il trombettista Nicola Coppola o al trombone Nicola Ferro, al giovanissimo fagottista Pietro Amato, per il quale il nostro Valeriano Chiaravalle dovrà scrivere per questo meraviglioso strumento, e ancora l’oboe inimitabile di Antonio Rufo. In duomo in prima fila tra i tantissimi amici Marco Bisceglie della Universal e Boris Guertler della Saar Records, unitamente al grande Adriano De Maio e a Pino Strabioli, della rai di cui mi sento figlio, sin dagli inizi, per organizzare in primis una grande serata a Salerno, dalla cui amministrazione mi attendo la cittadinanza onoraria, dopo quella concessami a Napoli e un gran concerto a Piazza Plebiscito con quanti mi hanno accompagnato nel mio viaggio musicale intorno al mondo”.