di Antonio Manzo
Avrebbero potuto “osservare” la scadenza del calendario della cosiddetta datazione dell’Italia rappresentata da misteri nazionali che hanno incrociato indagini sui “delitti eccellenti” per esternare a dodici anni di distanza dal delitto di Angelo Vassallo. Sarebbe bastato ancora qualche settimana per parlare in occasione del giusto rituale della celebrazione di un doveroso ricordo. Invece no, non è stato così ,senza alcun cedimento alla retorica investigativa italiana che tramanda processi mai fatti e colpevoli mai trovati come in un romanzo noir della Repubblica. Come purtroppo abbiamo dovuto registrare a trent’ anni dalla strage di via D’ Amelio, senza responsabili e con un carico di disonorevoli depistaggi. Per l’ omicidio di Angelo Vassallo siamo allo snodo di una verità ancora da accertare e da suffragare in sentenze ,ma credibilmente siamo in una fase investigativa fortemente indiziaria e fondata. Una verità che non sottace e che non ignora presunti depistaggi di pezzi dello Stato e che, invece, li illustra con compiutezza che non lascia spazio alla vanità dell’ antimafia verbosa e inconcludente. Una banda di carabinieri guidata da un ufficiale manomette i filmati precedenti al delitto Vassallo per depistare le indagini e costruire una tesi alternativa accusando pregiudicati che non c’ entravano ( una sorta di via d Amelio bis senza falsi pentiti ma con carabinieri veri, costruttori di indagini parallele per discolparsi e definire falsi indiziati del delitto Vassallo). C’ è La procura antimafia di Salerno, retta da Giuseppe Borrelli da due anni. E’ la guida di un ufficio, spesso velato da incerta autorevolezza spazzata via da una conduzione prudente ma concreta. Hanno messo un punto fermo, il procuratore Borrelli e il pm Colamonici, senza cedimento a false illusioni di trovare un colpevole ad ogni costo a distanza di ben dodici anni e così arginando il fiume di illazioni che spesso ha fiancheggiato la pur doverosa ricerca della verità, fatta salva la sobria ed amara freddezza di moglie e figli della vittima. Prima circostanza ormai codificata: l’omicidio di Angelo Vassallo fu un omicidio preventivo. Sussistono fondate ragioni, scrivono i pm salernitani, per ritenere che l omicidio del sindaco “sia stato posto in essere per impedirgli” di denunciare il traffico di droga che coinvolgeva il porto di Acciaroli “dallo stesso individuato”. Il movente fu al centro di una trasmissione televisiva “Presa Diretta” andata in onda a quattro mesi dall’ omicidio (gennaio 2011) e illustrato da chi scrive nelle modalità operative delittuose. Il 24 agosto 2010, dodici giorni prima di essere ammazzato, Angelo Vassallo chiama l ‘ ex procuratore capo di Vallo della Lucania, Alfredo Greco, e gli riferisce della “scoperta di un gommone” che sbarcava droga nel porto. Il pm Greco lo ascolta e apprende che farà una denuncia circostanziata a carabinieri di assoluta fiducia del procuratore: la denuncia non viene presentata perchè il capitano Annichiarico di Agropoli deve spostare l’ appuntamento con il sindaco per motivi di servizio. Vassallo viene ucciso la sera precedente il giorno fissato per il nuovo incontro, precisamente viene ucciso la sera di domenica 5 settembre 2010 .L’ inchiesta per competenza funzionale viene avocata dalla procura antimafia di Salerno e Greco, appena 24 ore dopo l’ omicidio, viene praticamente estromesso dalle indagini senza alcun motivo. Non viene neppure” applicato “alla Procura antimafia di Salerno dove avrebbe potuto preliminarmente riferire delle denunce di Vassallo oltre che garantire la mappa della criminalità cilentana che in quegli anni era ipotecata dal clan dei Casalesi. Da martedì 7 settembre 2010, Greco esce dall’inchiesta dopo una tempestosa riunione negli uffici dell’Antimafia alla procura di Salerno e inizia il giusto riserbo degli inquirenti. Ma il lungo silenzio, spesso improduttivo, dei salernitani pur protagonisti di un incessante lavoro che entra puntualmente al centro della commemorazione del tragico evento (resterà nella storia l ‘annuncio del procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho di una svolta improvvisa e conclusiva delle indagini sul delitto).
Quel che emerge è che la Procura di Salerno oggi si riserva “la completa ed esaustiva discovery ” degli elementi di prova acquisiti. Per ora ,nel decreto di perquisizione viene fuori un mondo quello di Acciaroli, funestato non solo dai Carabinieri del presunto depistaggio ma anche di ricatti che sarebbero stati operati nei confronti della stessa vittima ,Angelo Vassallo. Ricatti fondati su presunte frequentazioni familiari nel mondo degli stupefacenti che venivano spacciati ad Acciaroli . Altro ricatto per Vassallo finalizzato ad ottenere la concessione di un lido per far sbarcare quantitativi di stupefacenti a bordo dei natanti dei clan napoletani Aquino-Annunziata. E’ in occasione di deposizioni dello scafatese Salvatore Ridosso che vengono fuori i nomi dei carabinieri (Colonnello Cagnazzo e Lazzaro Cioffi). Il capitolo più inquietante è quello degli indizi che riconducono all’omicidio Vassallo tesi ad occultare e preservare il traffico della droga che passa dalle mani dei narcotrafficanti internazionali sudamericani destinato al rifornimento per il clan Di Lauro oltre che ai cosiddetti scissionisti Amato-Pagano. L’attività
di depistaggio delle indagini per coinvolgere soggetti estranei al delitto (Bruno Damiani), viene garantita e pianificata, secondo gli inquirenti, dal Tenente Colonnello Fabio Cagnazzo e dai carabinieri Lazzaro Cioffi e Luigi Molaro .Il prezzo della sconfitta per l’omicidio di Angelo Vassallo è ancora fresco nonostante i dodici anni trascorsi con depistaggio di carabinieri veri e non pentiti finti.