Il violinista ha stregato ancora una volta il pubblico salernitano con il terzo concerto di Wolfgang Amadeus Mozart, in perfetta empatia con la bacchetta di Daniel Oren alla testa della Orchestra Filarmonica Salernitana
Di Olga Chieffi
Può sembrare un paradosso, ma la ripresa degli spettacoli post-lockdown, sta portando in Campania e a Salerno, diversi rappresentanti del gotha musicale internazionale. Una delle stelle più rilucenti è stato il violinista Vadim Repin, che ha elevato il suono del suo preziosissimo violino “Bonjour” del 1743 Guarneri del Gesù, nel duomo di Salerno, per il concerto in Sol maggiore, K. 216 di Wolfgang Amadeus Mozart, sostenuto dall’ Orchestra Filarmonica Salernitana “G.Verdi”, con alla testa Daniel Oren. “Ma come Repin viene per suonare solo il terzo di Mozart , peccato! – ha sottolineato qualcuno”. Il commento è comprensibile solo perché nell’immaginario comune Vadim Repin impersona il genio romantico, l’esecutore mitico, diabolico, che resa materia la musica scritta, la piega alla propria dimensione, appropriandosene, con il suo stile esecutivo che diviene sinonimo di perfezione violinistica, per la tecnica prodigiosa, la potenza e l’incisività del suono, la trasparenza cristallina dell’intonazione e quel colore scuro, a tratti sontuosamente ambrato che ci fa ricordare Ojstrach. Invece, applausi per un Mozart che ha vissuto dell’ integrazione e della varietà del vibrato, il rigore ritmico, a volte troppo spinto nei confronti della pulsazione naturale, specchio di una concezione virile dell’interprete, di estrema sobrietà, estranea all’esibizione virtuosistica fine a se stessa e ai suoi cascami a volte sentimentali, in cui qualche volta forse è caduta l’orchestra, non controllando un vibrato che è andato di qualche decennio oltre. Generosissimo Vadim Repin, che ha concesso ben due bis alla platea, intonando il canto d’amore per Olga di Lenskij “Kuda, kuda udalilis”, prima del duello con Onegin in cui troverà la morte, quindi, afrore di zolfo con le variazioni dal Carnevale di Venezia op. 10 di Niccolò Paganini. Applausi a scena aperta da parte di un pubblico letteralmente stregato da questo violinista dalla sonorità, dovuta non poco al violino e tecnica stupefacenti. Ma la serata ha preso il via con una sorpresa, due numeri dal Sogno di una Notte di mezz’estate di Felix Mendelssohn- Bartholdy, la famosa marcia nuziale, con trombe in piedi guidate da Raffaele Alfano e la danza dei contadini, in cui abbiamo apprezzato il lavoro sull’aspetto sonoriale, sulle sfumature e sulle rifrazioni di timbro, come grande attenzione è stata rivolta alla condotta della ritmica e dell’agogica, priva di qualsiasi rigidità e tuttavia coerente, se non addirittura rigorosa nella naturale flessibilità. L’omaggio mozartiano si è concluso con l’esecuzione della sinfonia n. 40 K. 550 in sol minore, in cui Daniel Oren ha staccato tempi agili e “giusti”, differenziando gli allegri, con fraseggi e dinamiche misurate frase per frase, sfuggendo alla genericità e all’imbellettamento della routine mozartiana.