di Antonio Manzo
Una camera di consiglio lampo, durata due ore, è bastata ai giudici del tribunale di Salerno per assolvere don Nunzio Scarano dall’accusa di usura “perché il fatto non sussiste”. La sentenza è stata pronunciata insieme ad altri dispositivi anche per altri processi celebrati in mattinata. Due ore per spazzare via un processo durato la bellezza di dieci anni in cui la Procura accusava il monsignore già responsabile dell’A.P.S.A. (Associazione del Patrimonio della Santa Sede) di aver aiutato con modesti prestiti suoi amici che avevano restituito il danaro senza interesse alcuno così come confermato nelle indagini già nel rinvio a giudizio per la “necessità di una verifica dibattimentale”. Della serie: vatti a fare il processo, poi si vedrà.
Per due prestiti di 10mila euro a favore di un suo amico medico, nel 2009, fu restituito a Nunzio Scarano perfettamente lo stesso danaro senza alcun interesse, come verificato anche dai numerosi accertamenti bancari della Guardia di Finanza. Anzi, in una contestata perizia tecnica, disposta dalla procura, fu accertata la corresponsione di circa 3mila euro quali presunti interessi sulla corrisposta cifra a Scarano che una controperizia smontò tranquillamente non solo smentendo calcoli errati ma per le risibile somma calcolata. Ma l’obiettivo era Nunzio Scarano. Per la procura ieri mattina rappresentata dal Pm Teti aveva chiesto una condanna a tre anni. Il Pm Elena Guarino titolare delle inchieste su Nunzio Scarano poco prima che iniziasse la discussione in aula, ha lasciato il posto al suo collega per motivi sopraggiunti di impegni di ufficio ( Guarino è uno dei sostituti di punta della direzione distrettuale antimafia). L’inchiesta salernitana insieme a quella romana erano partite anche con il pregiudizio e la vanità etica di esprimere una giustizia “politicamente corretta” sia con la palese volontà anti-ecclesiale e sia con la malcelata volontà papale di mettere in ordine la finanza vaticana.
L’azione del Pm salernitano Elena Guarino nelle inchieste sul prelato vaticano si intensificò anche dopo la condanna anticipata del Papa quando definì, in una intervista sull’aereo papale, Scarano come “il contrario della Beata Imelda Lambertini”. Così il giustizialismo di marca vaticana diede il via libera anche ai processi e alle gogne mediatiche. Il pm salernitano assegnò l’ inchiesta alla Guardia di Finanza di Salerno (Gruppo Tutela Economica- sezione riciclaggio). L’ ordine fu eseguito con disciplinati pedinamenti oltre che intercettazioni captate perfino dal campanile del duomo di Salerno che affaccia sulla abitazione del monsignore inquisito. La Guardia di Finanza su disposizione del pm, con un piano clamorosamente accettato dall’ ex vescovo di Salerno Luigi Moretti, piazzò sofisticate microspie nelle bifore del campanile come se fossero stati altoparlanti. Gli investigatori volevano intercettare movimenti, parole e frequentazioni casalinghe del Monsignore agli arresti domiciliari, anche con il consenso dell’arcivescovo titolare della proprietà della curia (il Duomo, appunto). La procura aveva tentato di vincere almeno il processo per usura a carico del prete, disponendo tecniche investigative ultramoderne e costose per “spiare” l’imputato accusato di una presunta usura rivelatasi inconsistente. Così il tribunale ha respinto (presidente Paolo Valiante, giudice a latere Enrichetta Cioffi) con formula ultrapiena. Non commenteranno i magistrati inquirenti (le sentenze si rispettano e non si commentano, dicono così) anche per un processo che aveva offerto al tritacarne giudiziario un alto prelato delle casse vaticane già raggiunto da una condanna per presunto riciclaggio, che ora è in Corte di Appello per giugno prossimo.
L’accusa insistente della procura di Salerno contro il prelato è stata irrorata da un fertile spessore solidale con gesti di fantasia sbrigliata e mirate allo sputtanamento spacciato per diritto di cronaca.
Lo stesso Scarano nell’inchiesta-madre sul presunto riciclaggio fu intercettato e sbattuto in una ordinanza di custodia cautelare con frasi e discorsi per nulla inerenti alla vicenda processuale. Fu così costruito un processo mediatico fatto diventare verità assoluta finita nella condanna (sette anni di reclusione) ora in Appello. L’intelligente e misurata difesa di Scarano è stata rappresentata dall’avvocato romano Riziero Angeletti. Sostuitì l’originario difensore avvocato Silverio Sica che fu esonerato dall’incarico, nel corso dell’inchiesta che portò Scarano all’arresto salernitano dopo l’assoluzione per corruzione del tribunale di Roma. L’avvocato Angeletti ha convinto il tribunale con un argomento lucido e essenziale: se a Scarano sono stati restituiti i soldi garantiti ai suoi amici in difficoltà e senza alcun tasso di interesse, quale usura c’è? E, soprattutto, la consulenza tecnica della procura come accerta interessi usurai mai esistiti e mai versati? Perché la consulenza del Pm è stata smentita in udienza da una uguale consulenza tecnica della difesa? Ora sono finiti tutti gli interrogativi per l’unica risposta: non esistono più in una inchiesta che è stata bollata con una sentenza di assoluzione piena “perché il fatto non sussiste”. E’ stata segno dello spirito dei tempi, comprese le gogne mediatiche.