Una Gilda di nome e di fatto - Le Cronache
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Una Gilda di nome e di fatto

Una Gilda di nome e di fatto

Sarà la Fiume, dopo l’eccellente Lucia di Lammermoor, la protagonista del Rigoletto che chiuderà la stagione del Teatro Verdi

 Di OLGA CHIEFFI

Ce lo avevamo augurato lo scorso dicembre che la Gilda del Rigoletto che chiuderà la stagione del Teatro Verdi di Salerno avesse avuto la voce di Gilda Fiume, magari al fianco di un Leo Nucci in festa per le sue nozze d’oro col palcoscenico e la lirica. Il soprano campano, darà voce alla figlia di Rigoletto alla prima del 28 dicembre e all’ultima replica del 30, mentre il 29, debutterà sul palcoscenico del massimo cittadino, Marina Monzò. Verdi aveva dipinto la figlia di Rigoletto con tratti di enfatica ingenuità nel «Caro nome», stucchevole aria cesellata come un merletto dalle colorature, ma di assoluta necessità drammatica: quella bimba ingenua sino al limite del credibile, dopo aver conosciuto l’amore in modo di- verso da come l’immaginava, diviene traumaticamente, prima nella confessione del- l’oltraggio subito (il rapimento e la rottura dell’illusione nell’incontro col Duca a palazzo, e chissà che altro ancora: «Tutte le feste al tempio»), poi nel «Quartetto» e, infine, nella «Scena, terzetto e tempesta», una donna matura e consapevole, assoluta dominatrice della scena. Quale contrasto con quel Duca da lei amato, smanioso pupazzetto sempre uguale a sé stesso, capace solo di affermare nella ballata iniziale che «Questa o quella per me pari sono» e ribadire alla fine il suo credo libertino cantando la celebre romanza «La donna è mobile».«V’ho ingannata, colpevole fui» è una delle frasi più disperate che mai abbia pronunciato una donna verdiana, e tocca così profondamente il cuore da farci sembrare forse l’unico omaggio, del resto doveroso, alle convenzioni dei più il momento in cui, accompagnata dagli arpeggi del flauto, Gilda offre al padre l’unica consolazione per i poveri e i reietti, «Lassù in cielo, vicino alla madre». Quel cielo di delizie incorporee non può esistere per il povero gobbo che, impotente, è messo di fronte al suo totale fallimento.