Una fiaba giudiziaria del secolo scorso. A Vallo della Lucania - Le Cronache
Cronaca

Una fiaba giudiziaria del secolo scorso. A Vallo della Lucania

Una fiaba giudiziaria del secolo scorso. A Vallo della Lucania

di Michelangelo Russo

 

Diventai magistrato nell’estate del 1972.Non è poi tantissimo un mezzo secolo nel fiume della storia. Ma è abbastanza per tingere i ricordi di quel tempo con i pastelli del rimpianto per un’epoca e un’innocenza perdute. Come la vicenda vera che accadde attorno a quegli anni ’70, nell’idilliaco (allora) Tribunale di Vallo della Lucania. I fatti mi furono raccontati da uno dei protagonisti principali, il collega Enzo Albano, Sostituto Procuratore della Repubblica a Vallo dopo il primo incarico alla Procura di Milano, dove insieme lavorammo all’esordio degli anni di piombo. Enzo Albano è stato uno dei magistrati italiani più noti e rispettati. Napoletano, dell’ala più critica e indipendente di Magistratura Democratica (tanto da ricevere l’offerta, nel 1994, lui di sinistra autentica, del sottosegretariato alla Giustizia da Alleanza Nazionale, che ne ammirava l’onestà intellettuale), era una persona vulcanica di raro spessore culturale e di grande sensibilità umana per la causa dei perdenti e dei deboli. Laureato anche in filosofia, mentre era già magistrato, i suoi interventi facevano audience ed erano attesi in ogni convegno nazionale e in ogni salotto intellettuale napoletano. Editorialista coraggioso, sfidò più volte l’inquisizione disciplinare attivata dai poteri che i suoi articoli colpivano: ne uscì sempre con l’attestato di onore proprio dagli avversari. Ci ha lasciato prematuramente nel 2011, da poco nominato Presidente del Tribunale di Torre Annunziata. L’altro protagonista di questa storia fu l’avvocato Giovanni sofia, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Vallo della Lucania negli anni ’70. Don Giovanni (potevo permettermi di chiamarlo così, perché, studente liceale con il figlio, fui di casa nel suo studio) era un avvocato bravo e straripante, per passionalità e umanità che sapeva mettere in tutte le sue cose, professionali e private. Lo ritrovai come magistrato nel 1979, appena arrivato dalla Procura di Milano. L’’incontro era pressoché quotidiano, a mezzogiorno, nell’ufficio del Procuratore della Repubblica Don Nicola Lupo. Anche al Procuratore Capo mi rivolgevo con l’appellativo di Don: quella era una concessione che il potentissimo Capo della Procura di allora faceva solo per affetto a chi lo meritava. Ero il P.M. più giovane, e mi toccava la corvée delle 12. Don Nicola e Don Giovanni celebravano a quell’ora il rito del bicchiere di whisky Chivas del mattino. Io solo un bicchierino, per età ancora acerba. Loro andavano avanti discutendo in un crescendo di entusiasmi da cui trassi anche illuminazioni giuridiche e professionali che mi giovarono per tutta la vita.

Mi sono dilungato, ma questo era lo sfondo di un tempo arcadico dei Tribunali da evocare per comprendere il senso della storia che segue.

Era un giorno di Agosto del 1977, mi pare, nell’aula dell’Udienza Penale il Tribunale di Vallo stava giudicando un detenuto per un fatto di una certa gravità. Ma si erano fatte le due del pomeriggio, e l’udienza si prometteva ancora lunga.

Nell’aria immobile del colore dell’ocra assoluto della terra cilentana, il canto delle cicale sovrastava da fuori i discorsi di dentro al Tribunale. Solo a tratti un alito di maestrale evocava il mare di Acciaroli, che chiamava all’ozio. L’udienza doveva fermarsi, anche perché era il giorno del compleanno del Presidente del Collegio. Lo sapevano tutti, perché bisognava festeggiare.

L’udienza si interruppe per tacito consenso di tutti, perché il ristorante stava aspettando gli invitati. Ovviamente, tutta l’aula era invitata. Ma i carabinieri della scorta e il detenuto dovevano necessariamente restare in aula nell’intervallo. Ma a Vallo, a quel tempo, questo non era un ostacolo. Il Cancelliere prese le ordinazioni dai singoli militari, e dallo stesso detenuto, per primo piatto, secondo e fetta di torta presidenziale. L’allegra comitiva andò a pranzo, sotto quei preziosi canneti estivi che eccitano le più sensuali libagioni sui cibi della tradizione estiva. E Don Giovanni Sofia, che alla sensualità dava sempre sfogo, si diede ad un eccesso di gioia partecipativa al convivio amicale della ricorrenza. Alle 16.30 tornarono tutti in aula, con la faccia del dovere da assolvere nonostante la beatitudine raggiunta poco prima.

Il processo ricominciò, e Don Giovanni, con voce tonante anche se un po’ arrochita, iniziò a difendere il suo assistito. Ma ben presto tutti, imputato compreso, si accorsero che Don Giovanni stava parlando di un altro processo. Nessuno disse niente. Solo l’imputato, di soppiatto, riuscì a richiamare l’attenzione del Pubblico Ministero, Enzo Albano, appunto. “Dottò” lo implorò “che brutta sciorta aggio acchiappata oggi! A causa malamenta, e l’avvocato ‘mbriaco! Aiutatme vuie, pe’ carità!”.

Enzo Albano era persona di cuore, e mai avrebbe detto no a chiunque gli chiedesse un aiuto. Quando toccò all’Accusa la richiesta finale, difese magnificamente il suo assistito, che poi era il suo imputato. Nel rovesciamento copernicano dei ruoli che entrò in quel momento nell’aula di giustizia, dopo la sua arringa difensiva in favore del suo imputato, Enzo Albano ne chiese ovviamente la condanna. Don Giovanni, Avvocato difensore, dopo avere ascoltato attentamente l’arringa difensiva di Enzo Albano, si disse subito pienamente concorde con tutte le sue parole. Quindi, concorde, di conseguenza, per la richiesta di condanna. Ma chi più di tutti pareva giulivo era l’imputato, che dopo la richiesta di condanna appariva adesso in pace col mondo. E parevano sorridere soddisfatti anche i carabinieri della scorta, il Cancelliere e l’usciere. Il Tribunale si ritirò, uscendo quasi subito con la condanna dell’imputato. Ma ad una pena molto più blanda di quanto potesse sperare. E così si concluse un giorno di festa in un Tribunale del Sud d’Italia, in quei territori del Sole che non hanno un confine geografico preciso, ma solo una linea dell’orizzonte che è quella delle palme e dei caffè.