di Titty Ficuciello
Undici battaglie presso il fiume Isonzo determinarono la guerra tra il Regio Esercito Italiano e l’esercito Austro-Ungarico e Tedesco durante la I guerra mondiale. La dodicesima, accadde alle 2 del 24 ottobre del 1917 a Caporetto e fu la più devastante mai accaduta, con perdite ingenti tanto che ancora oggi, nell’immaginario collettivo, si definisce “ una Caporetto” una sconfitta, una disfatta totale e irreversibile sotto tutti i punti di vista. L’esercito italiano non resse all’attacco, il comando generale con Capello e Cadorna imputarono all’esercito la sconfitta, ma un soldato ha raccontato la sua storia e il suo diretto punto di vista. E’ così che al MOA, Museo dell’Operazione Avalanche di Eboli, è andata in scena “Caporetto: Isteria di una Nazione”, un’opera in due atti nata da un’idea di Giuseppe Fresolone, scritta da Lugi Nobile e Giuseppe Fresolone, recitata da un bravissimo Michele Ferrarese in un lungo monologo su musiche e regia di Luigi Nobile. Una produzione Monochrome Art e Mò Art con il patrocinio morale del Comune di Eboli e di Sophis Associazione di Formazione Professionale. Nella serata del 4 Novembre, quando in tutta Italia si celebra la Giornata delle Forze Armate e quest’anno ricorre anche la fine della I Guerra Mondiale, un contadino soldato racconta la “sua” Grande Guerra, che già si era portato via il fratello partito per il fronte, lasciando una famiglia contadina priva di forza lavoro, per rincorrere il sogno di una vita diversa da quella di polvere e fango della vita agricola. Nonostante la bassa statura viene arruolato negli “arditi” e vive la vita di trincea, la peggiore che essere umano possa ricordare. Un anno in trincea in fosse di fango incuneati come topi, insieme ai topi e a tutti i parassiti che rendevano la vita impossibile, insieme al freddo. Raccontava un soldato di quelle trincee, che oggi non c’è più, che la pioggia allagava i fossi, e i pidocchi, le cimici e le pulci per non morire affogati salivano in superficie e si radunavano attorno al collo e lì venivano presi a centinaia tra le mani. Una disfatta militare che fu provocata semplicemente da una disastrosa strategia militare, rigida e ottusa, fatta di ordini calati dall’alto in una stolta gerarchia verticale disfunzionale e non dalla vigliaccheria dei soldati o dai sovversivi, come fu dichiarato. Ma siccome, si sa, la Storia la scrivono tutti tranne chi la fa, il racconto di questo milite ignoto del MOA nell’opera di Nobile e Fresolone, commuove e appassiona perché, immaginata e documentata, è raccontata da chi l’ha fatta, da chi, in quelle maledette trincee, c’è stato davvero, calato insieme ai topi e alle migliaia di morti. “ Con Caporetto ci siamo cimentati in una storia importante – dice Fresolone autore del testo – perché c’è una dicotomia tra quello che è realmente stato e ciò che viene raccontato. E’ stata sicuramente una grave sconfitta militare dovuta alla impostazione sbagliata. L’esercito Austro Ungarico aveva una sua strategia militare basata sulle infiltrazioni nelle linee nemiche che tagliando le linee del telegrafo isolò l’Esercito Regio Italiano che riceveva ordini solo calati dall’alto, in una ligia catena di comando. Un ufficiale ad esempio, per aprire il fuoco aveva bisogno dell’ordine diretto per iscritto del Generale di Corpo d’Armata. Tutt’altra è invece l’operazione culturale che ne viene fatta. La I Guerra Mondiale non si fece per unificare tutti i territori italiani bensì per creare una nuova Italia: bisognava azzerare l’identità degli italiani perché il Risorgimento liberale non era riuscito nell’intento della grande Italia. In realtà la nostra opera vuol trasmettere l’idea che in momenti epocali della nostra Storia l’operazione culturale che viene fatta da certe èlites e poteri intellettuali è quello di ridefinire l’identità di una nazione a proprio vantaggio. E la stessa operazione fu fatta anche col famigerato 8 settembre del 1943.” Luigi Nobile Direttore Artistico del MOA , coautore e regista dell’opera si sofferma sui particolari tecnici e artistici della pièce “ c’è molto del realismo di Charlie Chaplin nella prima parte, quando il contadino scimmiotta le marce dei soldati e ironizza grottescamente sui generali. Michele Ferrarese si è adoperato in 54 minuti di memoria, prestazione non semplice certo.”