Il libro è incompiuto in quanto l’autrice, ebrea, non potè portarlo a termine per essere morta, a 39 anni, nel campo di concentramento di Auschwitz
Di Salvatore D’Agostino
Mi è stato chiesto di raccontare il libro che salverei in caso di catastrofe. La richiesta lascia presumere che farlo, in una situazione del genere, sia quanto meno pensabile. Il che non mi pare così scontato. A chi non fosse già un lettore, infatti, la domanda risulterebbe inutile. Più appropriato, molto probabilmente, sarebbe chiedergli “cosa” porterebbe con sé. Se penso all’inutilizzabilità di uno strumento tecnologico – con una catastrofe, infatti, sarebbe impossibile avere connessione ed energia elettrica per alimentarlo – sarei davvero curioso di sapere quale altra “cosa” potrebbe, l’uomo o la donna di oggi non lettore/lettrice, portare con sé. Chiusa la divagazione, il libro che salverei è “Suite francese” di Irène Némirovsky. Lo salverei per diversi motivi. Anzitutto perché è un bel libro. Come accade nei grandi romanzi vi sono raccontate la “Storia” e le “storie”: in questo caso lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e, con sottile acume psicologico, le vicende private di alcune persone comuni. Poi perché è scritto da una donna. Sarebbe cioè bello, e giusto, che nel mondo che verrà si sapesse che anche le donne, oltre che gli uomini, sanno scrivere capolavori. Infine perché questo romanzo è incompleto, in quanto l’autrice, ebrea, non potè portarlo a termine per essere morta, a 39 anni, nel campo di concentramento di Auschwitz. Sarebbe cioè anche in questo caso bello, e giusto, ricordare, nel mondo che verrà, che quello precedente ha fatto una cosa del genere.