Di Olga Chieffi
Chi non ricorda le pagine finali de’ Il Nome della Rosa di Umberto Eco, la storia di un’apocalisse libresca, l’incendio della biblioteca, la tragedia del fondatore di questo scrigno prezioso e ascoso, dove era conservata e salvata buona parte dello scire umano dell’epoca medioevale, il libro proibito, nascosto in uno spazio inaccessibile, un luogo per eccellenza della Sapienza interdetta, della Cultura come feticcio rivelato che non può essere comunicata attraverso l’apparato divulgativo della mediazione intellettuale. E’ la nostra idea di traccia quale talismano per l’ apertura del nuovo anno scolastico, che naturalmente attira un po’ tutti poiché è innegabile che ognuno di noi abbia un volume che ha sempre sottomano, pronto ad essere riaperto. I libri letti da me più volte sono stati diversi, “La maledizione di Capistrano” ovvero Zorro, il libro Cuore, Pinocchio, tutti i romanzi d’avventura salgariani, la saga dei “Tre moschettieri”, quindi la letteratura russa, i romanzi del Mare, gli umoristi italiani, ma oggi me ne sovviene uno che è “Ricordi di Scuola” di Giovanni Mosca, un augurio per gli studenti che si accingono a ri-entrare in classe: un diario che esprime quel legame di profondo rispetto che si instaurava tra tutti i partecipanti all’azione, allievi, genitori, maestri, istituzione scolastica in cui “tutti” contribuivano alla realizzazione del progetto educativo di cui la scuola era referente ultimo e, forse, più determinante, in cui “tutti” concordavano su quali fossero gli obiettivi principali, le possibilità di deroga, gli spazi per la flessibilità, i giusti ruoli e i giusti spazi, le giuste pretese e i corretti giudizi. Non c’è, in “Ricordi di scuola”, nessuna atmosfera idilliaca, né idealizzata, alla maniera di “Cuore”; nessuna deificazione di alunni professori o programmi scolastici. Semplicemente, uno sguardo tenero ma non indulgente, ironico e sagace che dimostra quanto buono poteva esserci in un’istituzione che, di lì a poco tempo, sarebbe stata colpita in pieno dalla potenza dirompente e stravolgente delle proteste studentesche e del ’68. Ma il mio libro da salvare dalla catastrofe porta la firma del cieco aedo, Omero, è l’ Odissea. In essa c’è il divino, l’eroico, il mito della forza e quello del coraggio, il mito dell’intelligenza, il mondo della magia, quello oscuro delle anime morte, l’amore, la fedeltà, la gelosia, la vendetta, la pietà. Ma su tutto c’è l’embrione della modernità incarnata da Odisseo e dal suo viaggio senza fine, senza porti sicuri. Omero canta il suo eroe errante, l’idea fissa del ritorno e la necessità, invincibile come tutte le necessità, di ripartire tentando ancora la vita, rispondendo alla sfida della morte, come ‘incipit’ della modernità, delle sue contraddizioni, delle sue nevrosi, del sentimento morale. Ulisse segna la nascita dell’Io e della sua inesausta domanda di autonomia, di avventura e di superamento di sé, per attingere al più-che-umano, alla libertà.