Di Olga Chieffi
Un giorno come un altro, scritto e diretto da Giacomo Ciarrapico, inserito nel cartellone di prosa del Teatro Pasolini di Salerno, in scena questa sera e domani alle ore 20, è una commedia proiettata in un futuro molto prossimo in cui l’astensione raggiungerà livelli quasi assoluti e solo il quattro per cento degli aventi diritto andrà a votare in un’Italia in cui la classe dirigente è completamente scollata dalle vite dei cittadini. Luca Amorosino, Marco, e Carlo De Ruggieri, Ranuccio, si trovano in un seggio elettorale vuoto, in attesa dei votanti e della commissione elettorale che diserta il seggio lasciando i due scrutatori soli, diventati così presidente e segretario. E’, questa, una commedia che affronta tematiche di grande attualità, proiettata in un futuro prossimo in cui l’astensione dal voto raggiunge livelli allarmanti. La commedia si sviluppa attorno alle differenze tra i due personaggi: Marco è incarna il cittadino idealista, che crede ancora nel valore del voto e nella potenza del popolo, mentre Ranuccio rappresenta una visione più cinica e disincantata, che considera la politica come un sistema da cui trarre vantaggi personali. Questo contrasto riflette un panorama sociale in cui la classe dirigente appare distante e scollegata dalla realtà quotidiana dei cittadini. Nel corso della giornata, i due uomini iniziano a rivelare lati inediti delle loro personalità, affrontando le proprie scelte di vita e l’inadeguatezza che entrambi provano di fronte a un futuro incerto. La commedia riesce a mescolare momenti di ilarità con riflessioni profonde, portando gli spettatori a ridere ma anche a identificarsi con le esperienze dei protagonisti. “Com’è lunga l’attesa…” pronuncia tra sé Tosca, attendendo la “falsa” fucilazione del suo Mario, un ultimo coup de théatre della primadonna che si fa maestra di recitazione, tra i merli di Castel Sant’Angelo, un “lasciapassare”, quell’ attesa, verso la vita, che si trasforma in una sfida, il tutto elevantesi a monumento sepolcrale. “Era l’ora delle speranze e lui meditava le eroiche storie che probabilmente non si sarebbero verificate mai, ma che pure servivano a incoraggiare la vita. […] Una battaglia, e dopo forse sarebbe stato contento per tutta la vita”, scrive il Dino Buzzati de’ “Il deserto dei Tartari”. Nel volume di aforismi “L’attesa, l’oblio”, Maurice Blanchot parla dell’ “attesa riempita dall’attesa, riempita-delusa dall’attesa”. Il che forse vuol dire che l’attesa impartisce lezioni tanto alla nostra disperazione quanto alla nostra speranza. “Non succede niente, nessuno viene, nessuno va, è terribile.”, in “Aspettando Godot” una frase che rispecchia l’indeterminazione dell’identità dei personaggi, la non consequenzialità delle azioni, l’annullamento della “normale” funzione comunicativa del linguaggio. A ciò andrà aggiunta una architettura musicale che organizza, gesti, parole e silenzi, firmata da Giuliano Taviani.
Tutto ciò rappresenta la condizione esistenziale di ogni uomo che è nell’attesa di qualcosa o di qualcuno, che non arriva mai: una giusta risposta che riveli il senso dell’esistenza. La nostra vita si compone di piccole e grandi attese: della persona giusta, del momento opportuno, del congruo guadagno e della meritata ricompensa, della telefonata che ci cambierà il futuro. Siamo sempre ad aspettare che accada quel qualcosa che abbiamo sempre desiderato. Ma c’è chi, intanto che attende, rimane fermo in balia della casualità degli eventi e c’è chi gioca con il fato. È una condizione che certamente può logorarci, ma non ferirci, perché è carica di speranze e di sogni. Se il sogno si è invece infranto o abbiamo la percezione che ciò che desideravamo non arriverà a causa dei nostri errori, allora l’attesa assumerà una valenza negativa. La nostra mente anticipa la sofferenza che sentiremo quando il fallimento del nostro progetto diventerà infine realtà. Di fronte a una caduta costruiamo immediatamente tutti i tasselli di un tracollo che, forse, non arriverà, ma a cui ci avviciniamo, attraverso l’immaginazione, e quanto più ci arrovelliamo, al quadro chiudiamo irrimediabilmente le ombre, al passo con la nostra angoscia. La domanda centrale che emerge dallo spettacolo, “ma dov’è la politica?”, invita a una riflessione critica sulla situazione attuale del paese. Oltre all’ironia, il testo pone interrogativi sulla ricerca di tornaconti personali che spesso sovrastano il bene comune, suggerendo che la ripartenza possa avvenire attraverso un rinnovato confronto personale e una maggiore condivisione dei valori democratici. In conclusione, “Un giorno come un altro” non è solo una commedia leggera, ma un’opera che stimola una riflessione necessaria sul ruolo della politica e sulla responsabilità di ciascuno nel contribuire a una società più partecipativa e consapevole.