Un elisir in cerca di direttore - Le Cronache Spettacolo e Cultura

Di Olga Chieffi

 

“Venite, venite a vedere” canta il coro dei rustici all’arrivo di Dulcamara nel I atto dell’Elisir d’amore di Gaetano Donizetti, opera non facile scelta dal Conservatorio di Salerno “G.Martucci”  per l’esordio annuale dei suoi allievi strumentisti e cantanti sul palcoscenico del Teatro Verdi. Un ritrovarsi, ieri mattina nel foyer del massimo cittadino, dopo l’estate per dar il via proprio al rush finale di una stagione che si rivelerà scintillante. Il Segretario Artistico del Teatro Verdi, Antonio Marzullo “demiurgo” tra conservatorio, dove lui stesso è docente di trombone e tromba, e precedentemente allievo, ha inteso presentare l’evento, unitamente al direttore Fulvio Artiano e al presidente del C.d.A Luciano Provenza, insieme ai quali oltre al progetto educational previsto dal 19 al 21 novembre per le scuole con una partitura alla quale verranno certamente apportati dei tagli, avremo tre serali con i turni per gli abbonati il 22 e il 24 e una data aggiunta, quel 23 novembre, anniversario del terremoto, che segnerà una piccola revolution, e l’inizio dell’anno accademico del Martucci proprio dal palcoscenico del nostro teatro, punto d’arrivo e di partenza per tantissimi giovani musicisti. Nota dolente, giunta in giornata, il forfait dovuto, imprevisto e non voluto dal direttore Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, fresco di nomina presso il Gesualdo da Venosa di Potenza, ma da sempre ospite in città alla testa dei suoi ex-allievi, per un grave infortunio ad una spalla, che gli impedirà di essere sul podio, ma speriamo non in sala ad emozionarsi insieme al suo pubblico, per i suoi “bambini”. E’ toccato al regista Riccardo Canessa, rivelare i segreti dell’opera, che da “genio mediterraneo”, come lo amiamo definire sin dal suo esordio, ambienterà l’opera nel fiordo di Furore, facendo sbarcare tutti i personaggi dal mare e trasformando i rustici in pescatori. Giocherà coi suoi ricordi da bambino, Canessa, a cominciare da Gennaro “Chimivuole”, un reale Dulcamara, il quale a bordo della sua barca aveva qualsiasi cosa, dall’aspirina alla parmigiana di melanzane e il famoso vino che stavolta al posto del Bordeaux sarà un Gran Furore, uno zio famoso e pensiamo al nobile napoletano Don Antonio Papale, una capera, a far da cassa da risonanza, in un paese di pescatori ove il gran maestro del coro sarà Francesco Aliberti, mentre Belcore sarà un ufficiale della  marina che scenderà a terra su di una elegantissima lancia. Scene, costumi e luci saranno affidate, naturalmente ad Alfredo Troisi”. E’ assodato che nell’opera donizettiana si discuta ancora di caratteri teatrali tipici del vecchio repertorio napoletano, la fraschetta Adina che vedrà all’opera Enkeleda Kamani e Valeria Feola per i matinèe, vispa e gelosa, l’innamorato credulone, Nemorino, cui daranno voce Juan Francisco Gatel per il serale e Andrea Russo e Luca Venditto per il progetto educational, il serio ciarlatano Dulcamara, che avrà la voce di Alfredo Daza e quindi di un attesissimo al debutto Antonio De Rosa, Belcore , il soldato guascone, il baritono Maxim Lisiin, per il serale in alternanza con Vittorio Di Pietro, mentre Giannetta sarà Miriam Tufano per il primo cast e Maria Domenica Verde e Daniela Magnotta per il secondo. Ogni personaggio allora fuoriesce dalla corteccia dell’archetipo per tradursi in energia sentimentale.

La romanza da utilizzare già era in serbo ed era il pezzo forte dell’opera “Una furtiva lagrima”, dolce, appassionata, voluttuosa, affettuosa come una serenata, si annuncia a scena vuota col fagotto, accompagnamento di archi pizzicati e arpa, lo strumento dell’innocenza come in Lucia. Riccardo Canessa ha ricordato il dualismo tra i grandi tenori napoletani De Lucia e Caruso, per l’interpretazione della pagina, sul piano musicale e teatrale rappresenta la più bella risposta che si poteva dare alle fanfaronate di Dulcamara, che non era venuto da quelle parti, a bordo del suo carro, per affrontare problemi di cuore così cocenti, ma soltanto per aumentare, dello stretto indispensabile, il pizzicore dei sessi addormentati. La sua tiritera di marca rossiniana “Udite, udite, o rustici”, lascia largo spazio alla declamazione del basso comico, a spassi onomatopeici e allitteranti, che il personaggio abbandona soltanto quando prende parte, nei punti significativi, ai disegni melodici e ritmici dell’orchestra: la chiusa, “Così chiaro è come il sole”, riassume in forma ternaria di danza allegra, contadina, il concetto dell’umorismo ciurmatore. Certo, il furbacchione è tanto ben trovato che contagia l’intero dinamismo dello spartito, trascinando bisticci, agitazioni, languori e villanesche di chiara e godibile umanità, le guance arrossate dal buon vino (vi scorra o no l’attesa lagrimuccia). Sotto il profilo tecnico, il compositore scrive senza dare l’impressione del calcolo, senza incertezze e problemi; rivelando un eccelso mestiere e una fiducia illimitata nella sicurezza dell’esposizione. Al tempo stesso la profondità e la convinzione della melodia, così come la sottile abilità di orchestrare in modo moderno, per quei tempi, pongono lo spettatore in condizione di afferrare senza sforzo la natura dei personaggi e l’intreccio della vicenda.

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