Successo per Glauco Mauri al Teatro Verdi di Salerno, nel doppio ruolo di Tiresia e del re cieco. Unica nota stonata la Giocasta di Elena Arvigo
Di OLGA CHIEFFI
Penultimo spettacolo in cartellone della stagione del teatro Verdi di Salerno, l’ Edipo Re e l’Edipo a Colono di Sofocle, spettacolo storico della Compagnia Mauri-Sturno, già portato in scena nel 1982 e nel 1995, ha avuto un pubblico non numeroso, come ci si aspettava, ma attento e consapevole. Due spettacoli in uno, con due regie diverse Andrea Baracco e Glauco Mauri, due spettacoli opposti e complementari. L’Edipo Re, firmato da Baracco, è caratterizzato da una grande pioggia che forma sul palco una pozza dove i personaggi vanno a immergersi, inzupparsi, purificarsi, affogare i tormenti, sfogare la rabbia. Sul fondo giganteggiano le mura della reggia di Tebe, una specie di opera morta, metallica rugginosa in cui solo una finestrella e una piccola porta interrompono il grigio e l’erosione di un metaforico mare ribollente, scosso dalla tempesta: la città toccata dal male fisico e morale traballa, come una nave allo sbaraglio. Sovrano e giudice assoluto, Edipo indaga sulla presenza impura che affligge il suo regno, provocando una devastatrice pestilenza; e scopre a mano a mano la propria colpevolezza: lui stesso ha ucciso, inconsapevole il padre Laio, ha sposato la madre Giocasta, ne ha avuto una prole maledetta; è lui il reo da scacciare, da mettere al bando. Ma la sua caduta determina l’ascesa del cognato Creonte, cui, quando ancora non conosceva la verità, Edipo attribuiva l’intento di spodestarlo, e che sarà, come sapremo da altre opere di Sofocle, un tiranno crudele. Il popolo tebano, fra il quale Edipo era pure apparso come un liberatore, vincendo la Sfinge, cioè dissipando antichi tabù, rimarrà doppiamente vittima degli eventi: perderà un monarca già buono e illuminato, ma ora infermo e contagioso del suo morbo, acquisendo un padrone esoso e mediocre. In questo allestimento di Edipo Re, ciò che viene relegata in secondo piano è certamente la componente religiosa, in senso stretto: potremmo anche dire che qui l’inconscio prende il posto degli Dei e del Fato, tutto avvolgendo in un chiaroscuro ambiguo, ma che appartiene alla storia terrestre dell’Uomo. Eroe della ragione, Edipo soccombe alla incapacità, che non è soltanto sua, ma di una società e di una cultura, di recuperare l’irrazionale, sciogliendone gli enigmi o, in ogni modo, non escludendoli dal conto della vita. E non si tratta solo di una vita privata, bensì di una vita pubblica, che lega a sé il destino di altri uomini, trascinandoli alla rovina. Roberto Sturno ha incarnato un Edipo con una adesione critica che ne fa un personaggio asciutto e moderno. Roberto Manzi è stato un Creonte gelido e insinuante, quale si conviene, meno calibrata ci è parsa l’interpretazione di Elena Arvigo, nelle vesti di Giocasta, almeno da un punto di vista fonetico. Glauco Mauri è stato un perfetto Tiresia, impostato efficacemente su una linea di atroce ironia e di nero sarcasmo. Ivan Alovisio quale corifeo e Giuliano Scarpinato, assai toccante e persuasivo messaggero di Corinto, una umile ma vera presenza in quel conflitto di potenti, hanno completato degnamente il quadro principale. Cambio scena per l’Edipo a Colono, firmato registicamente e interpretato da Glauco Mari. Blocchi marmorei bianchi, con personaggi in scena disposti a semicerchio, atteggiati a massi, incappucciati, con panneggi bianchi. Differenti i significati, tra cui l’associazione ad un grembo materno, nel quale l’angoscia di Edipo cerca di acquietarsi. Uno spazio che suggerisce il luogo dove si nasce, si genera, si sogna e si muore, motivi tutti che punteggiano la vicenda dello sventurato re di Tebe. Ma la scena può ricordare anche soltanto un’immagine stilizzata della statuaria greca, o l’agorà di Atene. Lo spettacolo si chiude sul racconto della fine gloriosa ed enigmatica di Edipo; Glauco Mauri ascolta vicino alla quinta il racconto della sua trasformazione in leggenda, mentre il vento sfoglia un libro, Edipo viene assorbito dalla Natura, la morte sarà liberazione e rinascita.