Un Caravaggio in Salerno “splendida” provinciale - Le Cronache Attualità

Di Olga Chieffi

La luce che parla al riguardante, al fedele smarrito per le vie tortuose e scure del peccato e dell’eresia. Pàthos e mìmesis, prodotti da quella luce salvifica, sono l’effetto empatico, deflagrante, che “accresce la divozione et compunge le viscere”. E’ questo l’effetto che fa ogni quadro di Caravaggio alla vista e al proprio sentire che costringe a ritornare ogni qualvolta se ne ha l’occasione. Un’attrazione fatale è “La presa di Cristo” che alloggerà in Salerno, nella sala del Cenacolo sino al 23 marzo. Un’opera autentica di Caravaggio per la prima volta viene esposta a Salerno. “Non è una semplice mostra, è un progetto. La Fondazione Carisal – ha affermato con una punta di orgoglio ed emozione il Presidente Credendino – intende diventare un centro culturale di inclusione e di innovazione, un hub della cultura, un punto di riferimento per appassionati e per tanti giovani che avranno la possibilità di ammirare un capolavoro”. Diversi gli interventi prima del taglio del nastro quali quelli di Orazio Abbamonte, Presidente Fondazione Banco di Napoli, che ha rivelato l’intesa tra le fondazioni circa “un lavoro sinergico che assicura possibilità più ampie ai territori”, quindi di Ermanno Guerra in rappresentanza del comune di Salerno, con il Consigliere Regionale, Franco Picarone e di Francesco Morra delegato alla cultura della provincia di Salerno, il quale in vista dell’apertura alle scuole di ogni grado ha pensato di creare un bel ponte tra museo archeologico che è giusto a qualche centinaio di metri dal quadro e con la Pinacoteca provinciale dove è ben presente il secolo di Caravaggio e tanto altro. Infatti, nell’ambito dell’evento espositivo sono stati programmati, a partire dal 10 gennaio e fino al 21 marzo 2025, un fitto calendario di appuntamenti – ad ingresso gratuito – con il coinvolgimento di studiosi, esperti ed artisti: “I venerdì di Caravaggio” tra conversazioni, cinque concerti che esploreranno l’elemento sonoro dell’epoca e del Caravaggio stesso e teatro, che offriranno al pubblico interessanti occasioni di dialogo e di confronto sulla cultura e l’arte. Infatti, lo scopo dell’iniziativa è quello di contribuire alla crescita degli studenti attraverso l’arte, quale strumento di educazione e di conoscenza e di stimolare il senso di appartenenza culturale e di apprezzamento per il patrimonio artistico italiano, attraverso un percorso didattico che prevede visite guidate, proiezione di prodotti audiovisivi e pannelli didattici, alla scoperta di Caravaggio, uomo e artista e della sua prestigiosa opera nel contesto storico di riferimento. Quindi è seguita la riflessione strettamente tecnica sull’esposizione de’ la “Presa di Cristo di Caravaggio dalla collezione Ruffo” commissionato dalla famiglia Mattei e recentemente attribuito a Caravaggio, affidata a Francesco Petrucci e Don Gianni Citro, curatori dell’evento. Francesco Petrucci ha ripercorso la storia del dipinto “un’opera complessa commissionata da Ciriaco Mattei nel 1603 al Caravaggio” ed ha ricordato che è, quella di Salerno, la terza tappa di un itinerario nazionale che è partito dal Palazzo Chigi di Ariccia e che ha fatto tappa già a Napoli. Don Gianni Citro ha sottolineato la “portata di un evento che mette Salerno al centro della scena nazionale ed internazionale grazie alla scelta, nell’epoca della comunicazione, della ‘star delle star della pittura di tutti i tempi: Caravaggio, una scelta frutto di un importante lavoro di squadra”. Il dipinto, all’epoca sporco e con diverse ridipinture, fu mostrato al pubblico per la prima e unica volta nella celebre “Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi”, tenutasi nel 1951 al Palazzo Reale di Milano a cura di Roberto Longhi: fu presentato come la migliore copia di un originale perduto, di cui era rimasta solo una descrizione testuale. La famiglia Mattei deteneva due versioni della “Presa di Cristo” come testimoniato dagli inventari: il prototipo, caratterizzato da una “cornice nera rabescata d’oro” fu commissionato nel 1603 a Caravaggio da Ciriaco Mattei ed in seguito posseduto da Asdrubale Mattei dal 1624 al 1638. Negli anni seguenti se ne perse traccia e riemerse, secondo quanto ricostruito in occasione della mostra di Ariccia, nel 1688 a Napoli, prima nell’inventario della collezione Vandeneynden – famiglia di mercanti fiamminghi – poi nella raccolta Colonna di Stigliano. Negli anni Trenta del Novecento l’ultima erede dei Colonna vendette Palazzo Zevallos Stigliano e la sua collezione, compreso il quadro, che ricomparve nella raccolta Ruffo di Calabria, dai cui discendenti nel 2003 lo ha acquistato l’attuale proprietario, il mercante d’arte Mario Bigetti. Nel dipinto che conserva la cornice originaria nera dipinta ad arabeschi dorati, si osservano i personaggi a grandezza naturale posti a tre quarti di figura, avvolti dalle tenebre. Nell’ambito dell’evento espositivo sono stati programmati, a partire dal 10 gennaio e fino al 21 marzo 2025, un fitto calendario di appuntamenti – ad ingresso gratuito – con il coinvolgimento di studiosi, esperti ed artisti: “I venerdì di Caravaggio” tra conversazioni, musica e teatro, che offrono al pubblico interessanti occasioni di dialogo e di confronto sulla cultura e l’arte, attraverso dibattiti, performance musicali e teatrali. Roberto Longhi definì questo quadro un «tragico carosello», un turbinio attorno a Cristo che richiede la completa gestualità di San Giovanni e la presenza di Malco per realizzarsi. Nella versione Ruffo, il dramma è accentuato in modo parossistico, esprimendo una violenza e un senso di morte incombente. Il dinamismo e la concitazione della scena riportano lo spettatore al culmine del dramma, come se l’azione fosse in atto in quel preciso momento. Questo potente impatto emotivo colpisce particolarmente i visitatori della mostra, soprattutto quelli senza pregiudizi intellettuali o nozioni accademiche preconfezionate. Ed è proprio questo l’effetto voluto da Caravaggio: trasmettere forti emozioni. Le immagini sono apparizioni che emergono dall’oscurità, lo sfondo è abolito e i personaggi della storia emergono attraverso un fascio di luce tagliente come lama, che irrora l’ambiente totalmente buio: un bagliore improvviso, uno squarcio nella notte, coglie soltanto una parte della realtà, un momento nell’inesorabilità del tempo, come uno scatto di fotografia. Tutto il resto rimane avvolto dalle tenebre, l’oscurità sembra tuttavia plasmare fisicamente le forme e lo spazio con un’intensità del tutto inedita; nella pittura di Caravaggio il buio ha un valore strutturante, poiché costruisce le forme. Sin dalla Cappella Contarelli, quando cioè gli scuri si intensificano drammaticamente, la luce di Caravaggio sembra acquistare progressivamente una valenza spirituale: l’oscurità è infatti assimilabile alla ‘notte oscura’ descritta dal mistico spagnolo Giovanni della Croce, che definiva buio lo stato permanente dell’anima umana che altro non può percepire e la fede risulta l’unica guida: “Io la fonte so ben che sgorga e scorre, anche se è notte […] quella eterna fontana sta nascosta ma so bene dove ha la sua dimora anche se è notte […] qui se ne sta chiamando le creature che si sazian d’acqua, anche se al buio, perché è di notte”. L’oscurità calata sul mondo potenzia al massimo grado le azioni, i gesti, l’intensità degli stati d’animo, le espressioni dei volti, attivando una drammatica rappresentazione in atto, un hinc et nunc, un qui e ora, che ferma l’azione della storia. La luce di Caravaggio si ritroverà alcuni secoli dopo nella tecnica fotografica dove l’illuminazione detta laterale o a taglio, è una via di mezzo tra la luce diretta e il controluce. Ed ecco la lucida teoria delle forme sottratte al contingente, in virtù di una loro sofferta conquista dell’essenza delle cose, della loro dimensione ontologica. Il reale è come evocato, non rimosso ma sospeso, e in questa elegia del silenzio più alta si leva la voce dell’Uomo, la sua libertà. Caravaggio taglia uno spazio della realtà, quasi una dimensione interiore e compone un’immagine.

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