di Olga Chieffi
Ultimi fuochi e tramonti in Villa Rufolo per la LXX edizione del Ravello Festival che domani sera, alle ore 19,30, nella luce che pulisce i profili di fine estate, alle 19,30 accenderà i riflettori su Pablo Heras-Casado alla guida dell’Anima Eterna Brugge e l’ultima sinfonia di Anton Bruckner. Un ensemble particolare questo, formato da musicisti che utilizzano strumenti originali senza però trascurare una continua ricerca nell’interpretazione e nell’esecuzione del loro repertorio. L’orchestra salirà quindi sul palco della Città della Musica con gli stessi strumenti, archi e forze orchestrali utilizzati ai tempi di Bruckner, incluso il suono della famosa “tuba di Wagner”. Una tensione assoluta al grande Richard, quella di Bruckner che aveva spazzato con la sua prima sinfonia, dopo l’affermazione di Wagner che dopo Beethoven, non si sarebbero più dovuto scrivere sinfonie. Bruckner vedeva dunque tra sé e Beethoven l’immenso spazio di quarant’anni di vuoto sinfonico, colmato solo in parte, oltre che da Mendelssohn e Schumann da un lato, da Berlioz e Liszt dall’altro, che per sottrarsi all’impossibile confronto avevano imboccato strade sinfoniche del tutto diverse. Qui a Ravello ascolteremo la VII Sinfonia sinfonia in Mi Maggiore, datata 1883. L’importanza di questa pagina, non risiede solo nel fatto che il lavoro permise finalmente a Bruckner di imporre il suo nome fra quelli dei maggiori compositori dell’epoca, almeno in terra tedesca se non ancora fra i suoi diffidenti concittadini; la grandiosa composizione sinfonica ha anche un ruolo centrale nella produzione artistica bruckneriana: nella Settima, come non mai, giungono a un felice incontro, ispirazione e maestria tecnica. Colpiscono, da una parte, l’abbondante effusione melodica, il lirismo pacato che pervadono la Sinfonia immergendola in un’atmosfera di distensione spirituale (lo slancio e la profondità delle melodie, come la propensione all’espansività «ingenua», riflettono caratteri profondi della personalità di Bruckner, che lo apparentano a Schubert e ne rivelano l’appartenenza alla terra austriaca); d’altra parte la coerenza organica, l’equilibrio formale, la perizia nell’elaborazione motivica sono aspetti altrettanto significativi di un lavoro sinfonico che ancor oggi è riconosciuto come una delle creazioni più felici del compositore. L’impianto formale, nella Settima come in tutte le sinfonie bruckneriane, è mediato – sia nella successione dei movimenti, sia nella loro organizzazione interna – dalla tradizione classico-romantica. Modello del primo e dell’ultimo movimento è la forma sonata, con l’Esposizione che ingloba tre gruppi tematici anziché due (come nella Nona di Schubert), lo Sviluppo, la Ripresa che accoglie al suo interno ulteriori episodi elaborativi (come in Haydn), la Coda conclusiva. Nelle sue sinfonie Bruckner mette in pratica diligentemente lo schema formale che aveva studiato a scuola; ma a ben guardare i princìpi formali della sonata classica sono da lui applicati in modo tutt’altro che ortodosso. Il vero motore del linguaggio sonatistico (e di quello beethoveniano in particolare), infatti, è il principio dialettico dell’opposizione fra aree armoniche e temi contrastanti, opposizione grazie alla quale la musica acquista un senso di direzionalità, diviene cioè un flusso che tende a una meta. Ma è proprio questo l’elemento decisivo che manca al linguaggio sinfonico bruckneriano. La tendenza all’espansione e all’accumulazione, l’accostamento – anziché il confronto dialettico – di episodi contrastanti sono incompatibili con la concezione «drammatica» che presiede al sonatismo classico. Bruckner conduce il discorso con fluidità e pacatezza, trapassando da un tema all’altro senza scosse e servendosi di processi di derivazione contrappuntistica; la sua musica avanza più per l’intrecciarsi continuo di combinazioni tematiche e timbriche, che per contrapposizione brusca di atteggiamenti spirituali o affettivi contrastanti. Il medesimo carattere estetico può anche spiegare l’enorme dilatazione delle proporzioni delle sinfonie bruckneriane, anch’essa antitetica rispetto alla concisione richiesta dal principio sonatistico classico. Tipica poi è la costruzione, all’interno di ogni movimento, di un grande crescendo, un grande climax dinamico ed emotivo, strutturato per ondate di suono d’intensità progressiva che portano a grandiose «eruzioni» tematiche. Armoniosamente la Settima fonde in sé i mondi più disparati: dalle torturanti locuzioni armoniche di Wagner alla «divina lunghezza» del sinfonismo di Schubert, costruito sulla cosmica ingenuità delle iterazioni, dalla religiosità domestica di espressioni musicali che sanno di parrocchia di campagna alla grandeur sonora di maestose liturgie controriformistiche e imperiali, dai semplici abbandoni lirici al possente anelito all’infinito; cucendo insieme tutte queste suggestioni in un disegno formale che non è meno solido e logico per esser dilatato fino al limite di guardia, profeticamente. Un passo oltre, e sarebbe stato il principio della fine: i tempi di Bruckner erano già maturi per il caos che solo Mahler avrebbe avuto il coraggio di rappresentare, obbligando la Sinfonia a farsi metafora dell’abisso.