Il LXXIV anniversario della liberazione sarà dedicato alle azioni di quante furono protagoniste di scelte e azioni della resistenza. Fu Mary Chieffi, la prima tessera femminile salernitana dell’A.N.P.I.
Di OLGA CHIEFFI
“Ai giovani un saluto particolare: li ho sempre seguiti nel lavoro, sia culturale che politico e rivolgo loro la raccomandazione di non essere settari, faziosi, prepotenti, difetti dovuti spesso alla carica vitale della giovinezza, di avvicinare tutti con pazienza, non stancarsi mai di discutere, convincere, persuadere nel rispetto della dignità della persona umana e della democrazia che vanno difese ad ogni costo. Dico a tutti: il mondo a cui si va incontro è bello, perché molte barriere sono cadute e altre presto ne cadranno”. E’ questa la conclusione del testamento spirituale di Mary Chieffi, prima tessera femminile salernitana ad essere iscritta nell’albo di coloro che avevano combattuto contro il nazifascismo, conquistata sulle colline di Roccadaspide dopo lo sbarco di Paestum, ove operò col padre Italo, il quale costituì un posto di soccorso e informazione a casa Antico, in cui i soldati ricevevano le prime cure, responsabile della organizzazione femminile della sezione salernitana sin dalla sua costituzione. Oggi il nostro pensiero va doppiamente a Lei, per appartenenza e perché il grande corteo di Milano, città medaglia d’oro della Resistenza ( il 25 aprile parte, infatti, proprio dalla capitale lombarda l’ordine per l’insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, indicando a tutte le forze partigiane attive nel Nord Italia facenti parte del Corpo Volontari della Libertà di attaccare i presidi fascisti e tedeschi imponendo la resa) sarà in chiave femminile, ricordando le donne che hanno animato la Resistenza e la Liberazione dal nazifascismo, onorando, così i nomi e le azioni di donne quali Lina Merlin, Tina Anselmi, Rossana Rossanda, passando per Onorina Brambilla, Maria Arata Massariello, Gina Galeotti Bianchi, Anna Gentili Cazzuoli, Giovanna Marturano, Ginetta Moroni Sagan, Maria Peron, Concettina Principato, Giulia Lombardi, Elena Rasera, Cleonice Tomassetti, Jenide Russo, Ernesta Moroni e Felicita Seregni, sino Giulia Lombardi, staffetta partigiana la cui statua è stata bruciata a Vighignolo, una frazione di Settimo Milanese, nell’hinterland. Per la prima volta, si è voluto dedicare la manifestazione alle partigiane per ribadire l’importanza storica delle loro azioni, non solo staffette, ma anche protagoniste degli scioperi, nella diffusione della stampa clandestina e combattenti al fianco degli uomini: i numeri parlano chiaro 35mila Partigiane, 20 mila Patriote, 70 mila iscritte nei gruppi di Difesa, 4.653 quelle arrestate e/o torturate, 2.750 le deportate, 512 le Commissarie di guerra, 16 Medaglie d’Oro, 17 Medaglie d’argento, 2.900 fucilate o cadute in combattimento. Ma oltre alle donne, si rifletterà sulle parole femminili della Resistenza: Libertà, Uguaglianza, Fraternità, Resistenza, Partigiana, Italia, Europa, Repubblica, Speranza, Fiducia, Ribellione, Scelta, Solidarietà, Felicità, Democrazia, Liberazione, Idea, Giustizia, Pace, Lotta, Accoglienza, Sicurezza, Bellezza, Alternativa, Ribellione, Ecologia, Storia, Lealtà, Costituzione, Parola, Staffetta, Opposizione, Persona, Cura, Opportunità, Cultura. Con l’avvio della lotta armata, le donne partecipano alla Resistenza in ogni modo. Sono – come si è ricordato – staffette; sono infermiere (spesso senza alcuna esperienza) nelle bande partigiane e negli ospedali, dove con la complicità di medici e suore si occupano di curare e nascondere i partigiani feriti; sono fattorine, addette all’organizzazione e alla diffusione della stampa clandestina; sono loro ad occuparsi dei morti, a ricomporre i cadaveri martoriati, a vestirli, a organizzare i funerali, ad avvisare le famiglie dei defunti; si occupano della gestione e dell’amministrazione del denaro necessario al finanziamento delle brigate e al sostentamento delle famiglie delle vittime del nazifascismo. Ma le donne della Resistenza parteciparono anche alla lotta armata. È questo un aspetto non molto discusso – se non negli ultimi anni – della presenza femminile nella guerra di Liberazione. Non furono certamente la maggioranza delle partigiane a scegliere la lotta armata, ma i casi non furono così sporadici. Quella di partecipare non solo alla Resistenza civile, ma anche a quella militare fu una scelta particolarmente difficile e coraggiosa – se si considera il momento storico in cui è stata compiuta – contro un atteggiamento plurisecolare che vedeva la donna relegata nella sfera privata e dopo vent’anni di dittatura fascista. Una scelta che sfidava tutti quei tabù sociali che impedivano ad una donna, specie se molto giovane, di passare giorni e notti intere con molti uomini. Una scelta dettata probabilmente dalla voglia di una partecipazione “totale” alla lotta contro il nazifascismo e, talvolta, persino da una certa consapevolezza di genere che il ventennio fascista non era riuscito a cancellare del tutto, e che ha contribuito, certamente, alla diffusione nelle brigate di atteggiamenti paritari. Questi gruppi di donne si riuniscono nelle case, nelle fabbriche, nelle chiese e mettono in piedi un’organizzazione capillare clandestina che ha lo scopo di sostenere attivamente e materialmente la Resistenza armata. Organizzano corsi di dattilografia, cucito, pronto soccorso, telegrafia, insegnano alle operaie come mettere in atto azioni di sabotaggio della produzione nelle fabbriche – un aspetto fondamentale se si considera che molte di loro lavoravano per aziende i cui prodotti erano destinati all’esercito tedesco – si occupano, insomma, di tutto ciò che può essere utile per l’organizzazione e il funzionamento dell’intero movimento di Resistenza. Una delle definizioni più belle delle donne della Resistenza, una sorta di manifesto identitario insieme antifascista, democratico e di genere, è quella data dalle stesse donne dei GDD sul giornale clandestino Noi Donne nel gennaio 1945. «Vogliamo che tutti sappiano chi siamo e come siamo, vogliamo che tutti sappiano che partigiani non sono soltanto i giovani che insorgono contro l’arbitrio nazi-fascista, per sottrarsi ad imposizioni di violenze e di sangue. Ma tutti combattenti per un’idea che non si è spenta, ma chiarificata maggiormente illuminata in oltre vent’anni di oppressione, di carcere politico e di emigrazione. E vogliamo che si sappia delle donne partigiane. Siamo sorelle, spose, madri, donne come tutte le donne del mondo. Noi non siamo le vivandiere di un allegro esercito di predoni e di avventurieri, ma dividiamo con loro tutti i disagi. Quando la sera ci avvolgiamo nella nostra coperta sulla paglia della nostra baita, accanto ai nostri fratelli, prima che gli occhi si chiudano nel pesante sonno della stanchezza, i nostri discorsi sono discorsi di tutta la gente libera, amante della libertà, discorsi che preparano il nostro faticoso lavoro del domani, e i nostri sogni sono quelli di tutte le donne che vogliono una vita utile e sana, sogni di un focolare caldo e accogliente, e d’un lavoro dignitoso insieme a una famiglia felice e una società di uomini liberi».