di Aldo Primicerio
Parliamo della stretta sulle intercettazioni. Un passo alla volta, ed ispirati dal pensiero fisso dell’indimenticabile Silvio, si viaggia infatti verso la progressiva impunità totale del potere. Ma perché scriviamo e chiediamo che questa maggioranza si fermi a riflettere sugli errori? E, se non ce la fa, che se ne torni a casa? E’ perché si continua ad insistere su un torbido disegno politico. Si profila ormai l’obiettivo di smantellare tutti i presidi dello Stato contro il dilagare della criminalità dei potenti, e di lasciare campo libero ad affaristi spregiudicati, dediti alla predazione sistematica delle risorse pubbliche ed al riciclaggio di capitali sporchi. Il Senato, come si sa, ha approvato una ulteriore stretta sulle intercettazioni telefoniche. La proposta è partita da Forza Italia, il partito che sulla demolizione della giustizia italiana ha piantato una bandiera 30 anni fa. Partendo dalla abolizione dell’abuso d’ufficio. Su 133 votanti, 83 senatori hanno votato a favore, 49 contrari, con 1 astenuto. A favore hanno votato anche Renzi ed Italia Viva. Insomma tutti quelli che hanno interessi a sgretolare i meccanismi della giustizia.
Cosa prevede la nuova stretta sulla giustizia. I limiti di un atto soltanto politico
La nuova stretta prevede di limitare gli ascolti ad una durata di 45 giorni, estensibili solo se dalle intercettazioni affiorino novità. Il provvedimento ora passa alla Camera. Una decisione grave e risibile, presa di pancia e con i piedi. Senza ascoltare gli esperti, chi fa questo difficile mestiere, gli investigatori, le forze di polizia. Si è deciso “a cape‘e c.”, come si dice in un eloquente monofonema dalle nostre parti. Perché non ci sono studi o statistiche su quale è il periodo medio di captazione di valore probatorio. Non è un atto tecnico, ma solo un basso atto politico finalizzato a indebolire lo Stato nelle sue capacità di contrastare il malaffare, la corruzione e la criminalità. I cittadini che si trovano a leggerci devono saperlo. E ricordarlo quando sarà il momento. E’ dal 2008 che in Parlamento si parla di riforma delle intercettazioni. Da quando il governo Berlusconi mise a punto una stretta su questo strumento di indagine. Il testo, voluto dall’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano, dopo l’approvazione a Montecitorio l’11 giugno 2009, si fermò, però, a Palazzo Madama esattamente un anno dopo, nel giugno 2010. Ripresentato a inizio di questa legislatura da Enrico Costa è entrato poi a far parte del più complessivo processo di riforma penale. Ora ha subìto una accelerazione anche dopo la vicenda della telefonata ‘rubata’ di Matteo Renzi con il padre Tiziano sul caso Consip. Una vicenda conclusasi con l’assoluzione degli inquisiti e la generale disapprovazione verso gli indagatori. Insomma, un’occasione perduta per fare emergere un eventuale marciume della politica. Tornando alle captazioni, trascorsi i 45 giorni e senza ulteriori nuovi elementi da dimostrare, si stacca la spina e si torna all’era pre-tecnologica, al medioevo giudiziario. Alla incapacità della giustizia italiana di punire gravi omicidi, stupri e violenze di gruppo, senza i necessari strumenti della tecnologia digitale. Insomma sarà un’autentica deposizione delle armi, un costo spropositato da pagare all’impunità dei poteri forti, di una ben individuabile casta politica, e di alcuni politici che hanno scheletri nell’armadio familiare da nascondere.
La stretta delle captazioni non varrà solo per alcuni reati gravi, come quelli mafiosi. Ma anche questi salteranno per i tempi-lampo delle intercettazioni