di Olga Chieffi
Avreste mai immaginato un Surdato ‘nnammurato che canta “Oje vita, oje vita mia” in blues? O che la fascinosa Brigida cui è dedicata la canzone “A’ Tazza ‘e cafè” possa non essere di Napoli ma della Giamaica? O, ancora, che i “guagliune e’ malavita” di Guapparia assomiglino a quelli di Fred Buscaglione? Avreste mai pensato che il Take Five di Dave Brubeck – con il suo modernissimo ritmo di cinque/quarti – avrebbe potuto un giorno vestire le parole della più antica canzone napoletana, “Te voglio bene assaje”? Certamente, nulla di nuovo sotto il sole, poiché risulta, da sempre, non facile fissare la specifica identità della canzone napoletana: essa è come un mare che ha ricevuto acqua da tanti fiumi. E’ figlia della poesia, come quasi tutti i canti di antica tradizione, e ha espresso, come le è universalmente riconosciuto i sentimenti, la storia e i costumi di un popolo. Il fatto singolare è che la canzone, “porosa” come la città – per dirla con la definizione che Benjamin coniò per Napoli -, ha assorbito tutto, riuscendo a rimanere in fondo se stessa. Malgrado sia stata contaminata, nel tempo, da sonorità appartenenti ad altre culture e ad altri generi musicali, la melodia napoletana è riuscita a conservare un suo codice di riconoscimento, un proprio DNA, quel “profumo”, che la rende inconfondibile, come una lingua perduta, della quale abbiamo forse dimenticato il senso e serbato soltanto l’armonia, una reminiscenza, la lingua di prima e forse anche la lingua di dopo. Stasera, toccheremo con mano questa affermazione con i NeaCò, in piazza a Ravello, dove la Fondazione continua a far risuonare il salotto della città della musica, in questo dorato settembre. La formazione composta dal percussionista afrocubano-napoletano Giovanni Imparato, da Luigi Carbone al pianoforte e all’Hammond (oltre che regista e voce narrante), da Mats Hedberg e Antonio Carluccio alle chitarre, da Davide Grottelli ai fiati, da Anna Rita di Pace ai fiati e Aldo Perris al basso proporrà al pubblico di Ravello un percorso nella musica “napoletana contaminata”. Il progetto NeaCo’ efficace contrazione del nome “Neapolitan Contamination”, nasce infatti attingendo dalla musica tradizionale partenopea per tuffarsi con grande maestria nei ritmi e nelle melodie appartenenti ai più svariati paesi del mondo. Jazz, reggae, swing, salsa, saranno solo alcuni degli elementi sapientemente miscelati ai brani più noti dal pubblico e che fanno parte della cultura italiana musicale più antica e più amata. In scaletta “Scalinatella”, “Maruzzella”, “Je te vurria vasà”, e ancora “Te voglio bbene assaje”, “Dicintincelle vuie”, “O’ surdato nnammurato”, “Napule è”. Questi ed altri brani classici, vengono immersi nei villaggi caldi dell’Africa, nelle periferie di Rio o nei mari della Spagna più passionale, o nel gospel americano degli States. Jazz, reggae, swing, salsa, saranno solo alcuni degli elementi sapientemente miscelati ai brani più amati dal pubblico e che fanno parte della cultura italiana musicale più antica e più amata. Il pubblico verrà condotto in un viaggio-racconto tra i continenti e gli stili musicali, dall’Europa al Medio Oriente, all’Africa centrale, fino al Nordamerica del gospel, del blues, del jazz e del funky, al Centroamerica del calypso, del reggae, della rumba, all’afrocubana e giù giù fino al tango argentino. La platea ritroverà ‘dentro’ ciascuna canzone un ‘seme di contaminazione’, un elemento di globalizzazione, capace di trasporre il brano in un Paese, e in uno stile narrativo del tutto diversi. Una esibizione non solo musicale ma anche una precisa dichiarazione di intenti in chiave culturale e sociale, un’apertura in questo preciso periodo soprattutto un chiaro segnale di liberazione dalla pandemia, come un festoso rito che annunci la liberazione dalla contaminazione del male attraverso la contaminazione della musica, delle migliore idee e valori, dell’inclusività. Domani si chiude con Sergio Cammariere, che si presenterà affiancato dalla sua storica band, Daniele Tittarelli, Luca Bulgarelli e Amedeo Ariano. Sembra uno scherzo il titolo del suo tour, “La fine di tutti i guai“, ma forse è stata solo preveggenza, quella del raffinato autore, dato che semplicemente ricalca il titolo del suo ultimo disco uscito nel 2019, prima di virus, mascherine e pandemie varie. Non ci sono solo le cose nuove, perché nello show Cammariere recupera i suoi successi più acclamati, ma con nuovi arrangiamenti: Tempo perduto, Via da questo mare, Tutto quello che un uomo. Oltre alle sue canzoni e a musica raffinata, immancabili poi i tributi e gli omaggi a quei cantautori che lo hanno ispirato durate la sua carriera.