Trionfo per i giovani incontratisi tra le mura dell’Accademia di Santa Cecilia, protagonisti del secondo appuntamento della rassegna musicale firmata da Sergio Caggiano
Di OLGA CHIEFFI
E’ una invicibile affinità quella che lega i quattro componenti del quartetto Felix,la pianista Marina Pellegrino, il violinista Vincenzo Meriani, la viola Francesco Venga e il violoncello Matteo Parisi. Concentrazione mentale e musicale, intensità e lucidità, per questi quattro giovani strumentisti che si sono ritrovati tra le mura dell’Accademia Musicale di Santa Cecilia e ritornano qui a Salerno, nella rirovata cornice di Santa Maria de’ Lama, ospiti del festival firmato dal violista Sergio Caggiano, per dedicare al pubblico salernitano due gioielli della letteratura cameristica il quartetto di Wolfgang Amadeus Mozart KV 493 e l’op.25 di Johannes Brahms. All’affascinante ricchezza di significati della scrittura mozartiana, il quartetto Felix presta duttilità di atteggiamenti espressivi che, sullo sfondo di una salda trama strutturale e di un attento equilibrio tra le parti, prestano il suono strumentale ora all’ideale affettivo di una cantabilità di modello vocale, ora al gusto del gioco leggero e dell’ironia, all’occasione anche secca e appuntita, ora ancora alla lievità elegante e tornita del passo di danza. La serata è proseguita, quindi con l’ampio quartetto in Sol minore di Johannes Brahms, op.25. L’articolazione di questa opera di per sé, offre il senso di un’anomalia, o di una inarginabile dilatazione della materia. Brahms sceglie la strada della forza sintattica come metodo di scrittura, ma la superficie di questa scrittura viene travolta da un empito sinfonico, da un tormentato bisogno di lievitazione. I ragazzi sono stati assorbiti da una apollinea idealità, dalla volontà di comporre il quadro brahmsiano dentro una cornice di certezza. Su tutti la tastiera di Marina Pellegrino, in veste di conductor, che in questo anno di intenso studio tra Fiesole, alla corte di Andrea Lucchesini e Roma, ha sviluppato doti di brillantezza e anche irruenza (nel finale incandescente con il Rondò alla Zingarese), ma in particolare, è riuscita a governare il proprio impeto a vantaggio della conversazione con i tre archi, riuscendo a farci avvertire in una sintesi smagliante, le precise pulsazioni del cuore dell’autore. Il cuore di Brahms chiede d’oltrepassare i limiti della sintassi che si è imposto e gli impone di esprimersi per vivere in un mondo che gli è proibito. Con il quartetto Felix il mistero di Brahms ha acquistato una verità per cui lo abbiamo sentito a noi più che vicino, quasi che il tempo non fosse trascorso da quando quelle note furono cercate sulla carta da musica.