di Luca Ferrini
“La Gloria e la Prova, il mio Nuovo cinema Paradiso 2.0” non è solo un libro ma è il secondo tempo, la rinascita per Salvatore “Totò” Cascio, l’ex bambino prodigio protagonista del film premio Oscar “Nuovo Cinema Paradiso” di Giuseppe Tornatore, cui la retinite pigmentosa, una malattia degenerativa, gli ha lentamente spento la vista e la carriera. Totò sarà ospite, il prossimo 21 agosto, a Perito nella prima edizione del Cilento Fest, festival del cinema dei borghi, ove ritirerà il premio speciale per il cortometraggio “A Occhi Aperti” in cui l’attore siciliano ritorna nei luoghi del film premiato dall’Academy Award nel 1990.
Il Premio Oscar, la fama, la gloria. Da allora cosa ha fatto Totò Cascio?
Ho fatto altri film ma poi iniziarono i problemi agli occhi per cui decisi di ritirarmi; ma voglio precisare che non è stato il cinema a dimenticarsi di me, sono stato io che, non volendo accettare la mia disabilità visiva, ho cominciato a nascondermi da tutto e da tutti. Trascorrevo le mie giornate nell’attesa che arrivasse la notte. Non vedevo l’ora di addormentarmi, desideravo che il giorno terminasse per poter dormire e sognare. Perché quando sognavo, vedevo, vedevo bene tutto quello che di giorno non riuscivo a vedere più.
Quando e con cosa è tornato a recitare?
Sempre con Tornatore ho fatto “Stanno tutti bene” con Marcello Mastroianni, ho girato a Napoli “Il Ricatto 2” con Massimo Ranieri, “Padre Speranza” con Bud Spencer in Calabria, “La diceria dell’untore” con Franco Nero. Tutti “mostri sacri” del cinema italiano che mi hanno insegnato e dato tanto.
Quanto è cambiato Totò, quanto è cresciuto da quel magico 1990?
Per me è stato fondamentale toccare il fondo e chiedere aiuto. Quando ho chiesto aiuto, con la psicoterapia, ho tolto la maschera. Mi trovavo ad un bivio, o ci rimanevo o ripartivo più forte e consapevole di prima. Ho avuto la fortuna di parlare con persone come Andrea Bocelli, Alex Zanardi, Bebe Vio, Annalisa Minetti. Mi hanno trasmesso la loro forza di volontà grandissima e le risorse per dare voce a tutto ciò che ho vissuto. Con Andrea Bocelli, che ha scritto la postfazione del libro, parlammo al telefono per 10 minuti e mi disse che essere non vedente non è un disonore. Per me fu come ricevere due schiaffi in pieno volto, ma di quelli sani, di quelli che ti spronano a scacciare tutte le paure e a ricominciare a vivere. Poi adesso sto avendo tante soddisfazioni andando in giro per la promozione di questo libro insieme a Marilena, che ne è la voce narrante. Stiamo riscuotendo tante manifestazioni d’affetto e di stima per il messaggio che cerchiamo di diffondere.
Di quella magnifica squadra ci hanno lasciato Morricone, Jacques Perrin, Philippe Noiret. Quali i ricordi, quale l’eredità che le hanno lasciato questi grandi artisti?
Philippe Noiret è stato un grande uomo e un attore straordinario. Un francese che recita in siciliano è davvero incredibile. Ho il rimpianto di quella volta che Raffaella Carrà organizzo una carrambata ai Telegatti per farmelo riabbracciare. Ci andai controvoglia, non ero ancora pronto per parlare in pubblico della mia malattia e fui reticente. Jacques Perrin, invece, non l’ho più rincontrato ma ho saputo che un giorno, mentre era in vacanza in Sicilia, ha lasciato la famiglia a Palermo ed è venuto in incognito a Palazzo Adriano per visitare il museo dedicato a “Nuovo Cinema Paradiso”. L’eredità che mi hanno lasciato? L’umiltà, la serietà e la professionalità.