di Olga Chieffi
“Campane, Te-Deum e Pricissione”, questa l’estrema sintesi di Tosca, racchiusa in un sonetto pubblicato sul “Vera Roma” dopo il debutto dell’opera, che stasera alle ore 21, verrà rappresentata nell’ormai arena lirica del Teatro Ghirelli. Un’ altra sfida immane per Daniel Oren, alla testa della Filarmonica Salernitana e delle masse corali preparate da Tiziana Carlini e Silvana Noschese che, dopo la Vedova Allegra continuerà a dirigere spalle ai cantanti, ma avrà un cast ancora una volta stellare, che vedrà, nel ruolo del titolo, il soprano Maria Josè Siri, il tenore Fabio Sartori in quello di Mario Cavaradossi, mentre il baritono Roberto Frontali, darà voce al vero protagonista del dramma, il barone Vitellio Scarpia. A completare il cast, due colonne del Teatro Verdi, Angelo Nardinocchi che indosserà la tonaca del sagrestano e Carlo Striuli, che vestirà i panni di Cesare Angelotti, e, ancora Francesco Pittari sarà Spoletta, Maurizio Bove, Sciarrone e Massimo Rizzi, un carceriere. “Con scenica scienza” questa Tosca saluterà ancora una volta la regia di Renzo Giacchieri, che avrà accanto Alfredo Troisi per le scene e i costumi. Tosca è un lavoro per nulla tradizionale, nonostante il triangolo baritono rivale-tenore, amante-soprano eroina comune a tutto il melodramma d’Ottocento, anche se nuovo in sé e, rispetto a quanto Puccini aveva scritto sino ad allora. Perché qui, novecentescamente, l’amore angelicato e sacrificale di Verdi diventa eroismo senza più motivazioni morali. E’ un eros che si effonde in beata pienezza e che, pago di sé, si esaurisce per poi riprendere nuova lena e via di séguito. Se il “tempo discontinuo” del Novecento nasce con Bohème, il neonato XX secolo è ribadito in Tosca dalle sue tinte plumbee, gli ottoni laceranti, la furia del declamato. Un timbro sinistro torna con insistenza, sulle tessiture estreme, livide, con inquietanti zone vuote al centro, con un uso molto frequente dei contrabbassi, che è stato ricondotto all’influsso del IV atto dell’ Otello verdiano. “Improvvise accensioni rompono di prepotenza il discorso musicale” scrive il nostro Edoardo Guglielmi, mentre l’azione diventa parossisticamente contratta, per cui i cinque atti originari s’addensano in tre, la cui durata stringe dal primo all’ultimo, incalzando serratamente. Se in Sardou la storia è presenza fastidiosamente ingombrante, in Puccini si limita a fare da sfondo a personaggi e vicende. Valga l’esempio del I atto, il partecipato racconto di Angelotti, la generosa disponibilità di Cavaradossi e l’arrivo di Tosca ansiosa d’entrare “in scena” “Mario!” che si susseguono, anzi s’accavallano in sole nove battute di “Allegro vivo ed agitato”. Appunto un dramma senza sosta negli sviluppi musicali, con gli avvenimenti che precipitano verso la catastrofe e gli scorci lirico-poetici sono ridotti al minimo o rinserrati nell’azione. Così si giunge al “Vissi d’arte”, stasera dedicato a Carla Fracci, lo squarcio cantabile che interrompe e precede scene più accesamente movimentate. La preghiera ci piace immaginarla per i tanti artisti che quest’anno ci hanno lasciato: il suo effetto è quello di dilatare il tempo, davanti agli occhi di Tosca scorre il film della sua vita, una esistenza condotta al servizio dell’arte, le cui ragioni stanno per essere definitivamente tradite, violentate, dal bacio di morte che di lì a poco darà al barone Scarpia. Il barone è corruzione, disfacimento, putrefazione. Secondo il barone Scarpia, l’ uomo scelto dal cielo non è il santo o chi compie il bene. Virtuoso è chi uccide in nome di Dio, pensa che un solo evento ci lega all’Altissimo: quel momento terribile in cui, applicando la legge, il giudice-carnefice tortura e uccide. L’ incontro tra carnefice e vittima è, dunque, il più alto della vita umana: il carnefice punisce in noi il peccato, di cui la nostra carne è esclusivamente formata: ha pietà per la vittima, in cui vede riflesso se stesso. In questo momento si stabilisce una identità perfetta tra chi agisce e chi viene agito; e sulle scene del teatro appare fulmineamente l’ ombra del Dio tenebroso, che secondo Scarpia è l’ unico vero Dio. Di fronte a Scarpia, sta Tosca, che appartiene al mondo dell’ amore e del teatro, della passione e dell’ illusione. Ma, allo stesso tempo, con i suoi capelli neri e il manto nero e il cuore nero e ardente, Tosca è il fiore del regno tenebroso di Scarpia: la sua vittima-carnefice. Non pensa che a lei; né è affascinato, corroso, avvelenato nel profondo dell’ anima, fino dimentica Dio. I due spiriti si annullano in uno solo, ognuno è il riflesso passivo dell’ altro, nell’eterna sfida di amore e morte.