di Luis Gramet*
Tornare in Italia mi rende sempre felice perché è come rispondere a una “chiamata di sangue”, al re-incontro con amici e familiari. Nello specifico è proprio Salerno, che mi ha catturato con la Biennale, con la città e le sue persone, i saluti calorosi per strada, quegli abbracci uguali alla mia città natale e dove vivo attualmente. I colori odori e sapori del cibo, la possibilità di scegliere tra una pizza e un buon gelato costituiscono, per me, un momento speciale. E inoltre che in tanti bar annuncino il mio arrivo con così tanta allegria! Cari salernitani, questo è qualcosa che non succede in tutti i posti del mondo. Durante la prima biennale, grazie all’intervento degli organizzatori ho ricevuto il generoso invitio a lavorare ad alcune opere nella ceramicheria di Vincenzo Santoriello. In sintesi, l’opera fonde un elemento locale, “La bocca della verità”, con un altro che determina, caratterizza, l’umanità: il neurone. “Il neurone della verità!” Uno per ogni continente, che rappresenta agli artisti di ogni continente come i portatori delle loro verità attraverso l’arte. Un girotondo, e i cui dendriti dei neuroni diventano delle mani come elementi di legame e solidarietà. Soltanto due di questi non si toccano, lasciando aperta la possibilità a chiunque voglia di incorporarsi. L’obiettivo di questa nota non è, tuttavia, parlare della mia opera, quanto del senso profondo di questa, che risultò in un certo modo premonitore. Nulla risulta più globalizzante e democratico di questa lunga pandemia, che ha chiuso il mondo e lo ha ricoperto di morte e terrore, ponendo tutti a rischio in maniera egualitaria, senza fare distinizioni di idee politiche e religiose, né di ricchi o poveri, senza avere alcuna frontiera capace di fermare l’avanzata del virus. Il mondo si è ritrovato senza nessun posto sicuro. Se non rendiamo patente un cambiamento, questa guerra contro questo nemico invisibile non sarà valsa a nulla. Dal mondo dell’arte – ed è questo il tema di cui mi occupo in questa occasione -, nessuno ha smesso di produrre, di esprimersi, in quanto questa è stata l’unica via per la catarsi: la sublimazione del dolore nella propria solitudine e utilizzare le risorse disponibili per esternare ciò che ognuno processa intimamente, e che d’altro modo rimarrebbe lì, all’interno, con conseguenze nefaste. Le sensazioni rimarranno documentate dalle opere d’arte di questo periodo storico. Dalla città di Salerno si è raccontato al mondo intero ciò che l’umanità, intera, ha sopportato. Indubbiamente l’Italia è un Paese riconosciuto nel mondo per la sua cultura e bellezza. La costiera amalfitana è uno dei luoghi più attrattivi, ma mi azzardo a dire che quasi mezzo mondo riesce ad ubicare Salerno sul mappamondo grazie alla visibilità offerta dalla biennale (che è arrivata ormai alla sua quarta edizione) e che ha convertito questa città in una mecca dell’arte. E qui lo dico per le persone che non sono addentrate nel mondo dell’arte: Salerno è una città che ogni giorno che passa si nomina sempre più in ambito culturale. Quest’anno, l’America Latina (che in passato ha accolto tante donne e uomini italiani) ha assunto maggior protagonismo. E nel nuovo continente sanno che a Salerno “pasan cosas”, succedono cose, che vale la pena seguire, anche se fosse semplicemente attraverso il proprio telefono. È fondamentale che questo tipo di attività si sviluppi con continuità. Sotenere la biennale nel tempo è una garanzia per il futuro. Per adesso, diciamo “hasta la próxima bienal” (alla prossima biennale). Grazie a tutti: agli artisti, agli organizzatori e al pubblico.
*presidente della giuria della biennale d’arte contemporanea di Salerno