Stasera alle ore 21, sul belvedere di Villa Rufolo si terrà il concerto celebrativo per il cinquantennale della scomparsa di di una delle massime figure musicali del Novecento. Big band classica diretta da Demo Morselli, al pianoforte Danilo Rea
Di Olga Chieffi
Concerto celebrativo per il cinquantennale della morte di Duke Ellington, pianista, band-leader, stasera alle ore 21, sul belvedere di Villa Rufolo, musicista che in sessant’anni di attività ha prodotto circa 1200 composizioni, consistenti in centocinquanta ore di musica personalissima, riconoscibile alle prime battute, spesso toccata dal soffio della poesia, aristocratica e popolare, colta e disimpegnata, lirica ed effervescente, impossibile da definire in tutte le sue sfaccettature, certamente la più fulgida testimonianza dell’arte nero-americana del nostro Millennio. A ripercorrere la brillante carriera del pianista, compositore e direttore d’orchestra, attraverso ben 19 titoli, Danilo Rea e la Salerno Jazz Orchestra diretta nell’occasione da Demo Morselli. Di vaglia la front line dei sax e la ritmica, ma scorrendo la sezione ottoni spicca il la tromba di Andrea Tofanelli che evocherà i super-acuti di Cat Anderson, un rivoluzionario della tromba. Desideriamo immaginare che questo concerto monografico su Edward Kennedy Ellington nasca, oltre che per celebrare una quantità di musica più abbondante di quella prodotta da Verdi o da Wagner, per sfatare ogni perplessità manifestata in campo critico di fronte a questa sterminata produzione. E’ certamente banale osservare come nel corso della sua attività la sua arte si sia evoluta e modificata, un vero e proprio movimento del pianeta Ellington nel cielo del jazz, i cui effetti vengono attribuiti alla forza centripeta o centrifuga del suo moto attorno a quel nucleo di cose in cui viene identificata l’idea del jazz. Con questo programma si offrirà il bagaglio minimo per avvicinare la figura di Duke Ellington: band leader, autore di songs, dagli inizi sino al 1943 quando l’uso della parola “jazz” sarebbe scomparsa dal vocabolario suo e della band, periodo in cui l’Ellington compositore si orienta verso forme musicali più estese di quella della tradizione jazzistica, capaci di acquisizioni linguistiche da linguaggi musicali estranei al jazz. Immancabili, temi straordinari, a cominciare dalla sigla dell’orchestra ellingtoniana Take the “A” Train, firmata da Billy Strayhorn, per passare attraverso i segreti del celebrato “effetto Ellington”, offerto dai solisti, i quali si ispireranno filologicamente al fraseggio del clarinetto di Barney Bigard, con l’imboccatura a New Orleans e la campana rivolta verso ogni novità, al sax baritono di Harry Carney, al quale si ancorava l’intera orchestra, indimenticabile in Sophisticated Lady, Ray Nance, Cootie Williams e Cat Anderson, i re delle trombe sia aperte che sordinate, a Juan Tizol, il trombone portoricano, dallo stesso spirito esotico di un pacchetto di sigarette Camel, dalla cui penna sono uscite Conghe e “Carovane” e ancora all’intera sezione dei sax, guidata dal tenore di Paul Gonsalves e da Johnny Hodges del quale verranno evocati, i suoi glissando da vertigine, il suo indescrivibile “scooped pitch”. La serata verrà inaugurata da “Happy Go Lucky Local” datata 1946, dalla Deep south suite, un caos organizzato in cui il ritmo nel mezzo e l’ostinato al pianoforte a creare la forma. Non si poteva tralasciare un cenno al Duke Latin, al suo incontro con Dizzy Gillespie, ma in particolare continuare con l’Ellington delle Suite orchestrali. Dalla Latin-American Suite, la big band eseguirà Oclupaca, datata 1968, scritta per la tournée messicana di Ellington in occasione delle Olimpiadi. Tappa, questa pagina, di un viaggio che è per antonomasia l’odissea dei neri dall’Africa, ai Carabi, a New Orleans, sino ai giorni nostri. Si passerà ai primi anni ’40. Duke Ellington è divenuto il dominatore di New York, arroccato nel tempio della sua musica il Cotton Club. A questa meravigliosa stagione risalgono i temi più famosi del Duca, tra cui In a sentimental Mood, Mood Indigo e It dont’ mean a thing (if ain’t got that swing), ma al LXXII Ravello festival ascolteremo quel Cottontail, basata sui cambi di ritmo di “I got Rhythm” di George Gershwin, la cui prima registrazione visse per il fascinante solo del sax di Ben Webster. Duke ha intitolato la sua biografia “Music is my mistress”, aperta dalla significativa affermazione “La musica è una bellissima donna nel fiore degli anni”. Il Duca ha saputo sapientemente schizzare l’universo femminile anche attraverso i titoli dei suoi pezzi, come? E’ lui stesso a svelarcelo: “Prima si suona il tema, poi ci si guarda intorno per sapere il nome della ragazza che sta in piedi dalla parte delle note basse del pianoforte. Da quella parte, appoggiata alla coda del pianoforte ci sarà sempre una ragazza”, così nacque Satin Doll. Such Sweet Thunder, l’album ellingtoniano ispirato dalle opere di William Shakespeare, che inizia e termina con due personaggi neri, Otello e Cleopatra, di cui Ellington e Strayhorn mettono in risalto la capacità seduttiva. Il primo brano – che si intitola come l’album – è il racconto del Moro delle proprie gesta, è la storia con cui ha sedotto Desdemona, una storia che sembra svolgersi in una giungla e non è casuale la citazione alla jungle music che ha caratterizzato la musica di Ellington ai tempi del Cotton Club. Al centro del programma il pezzo forse più famoso di Ellington. Gli anni 1940-41 segnano il momento più scintillante dell’orchestra ellingtoniana che risiede proprio nello splendore degli arrangiamenti, eccellenti almeno quanto il lavoro dei solisti e il complesso. Ogni passaggio è perfettamente arrangiato, sia come equilibrio che come struttura formale e le parti solistiche prendono vita su sfondi ideali mentre un’inesauribile succedersi di linee melodiche forma ogni pezzo. Tutto ciò si deve anche al genio di Billy Strayhorn, l’arrangiatore e pianista, ombra di Ellington che, prendendo spunto da un modo di dire del Duca, per cui la stazione metropolitana di linea “A” sulla 155 esima strada era solo a 15 minuti di distanza dalla parte centrale di Manhattan, compose Take the “A” Train , un pezzo in tempo medio-veloce, divenuto la sigla dell’orchestra. Una splendida ballade di Green è Body & Soul, cavallo di battaglia di tutti i Tenorsax, ma Duke Ellington la incise in duo col suo contrabbassista preferito, Jimmy Blanton, cosa inaudita per l’epoca eseguendola anche con Ben Webster. Una possibile identificazione delle ragioni della scelta ellingtoniana va ricondotta al modello di Debussy e di Ravel in modo particolare, a quel senso di libertà espressiva che la musica francese riesce a sprigionare da un contesto sonoro, al cui interno le coloriture e i riflessi cangianti, operano in modo determinante. Del resto Duke in giovinezza avrebbe voluto fare il pittore: scegliendo di essere musicista non vi ha rinunciato, ha dipinto con l’orchestra, come nel brano che verrà eseguito, C jam Blues, costruito su due sole note sol e do, pagina che merita un attento ascolto, tanto ingegnosamente questa coppia di note, apparentemente insignificanti, viene trasformata in un blues vivo e ricco di swing, con protagonista un’orchestra illuminata da innesti timbrici particolari. Ancora una ballad ispirata all’universo femminino, musa di tanti temi firmati da Ellington. Da “Black beauty” simbolo dell’orgoglio razziale, all’inattingibile vergine di “The River”, la donna ellingtoniana è Circe, Salome, Sentimental Lady, Lady Mac, Night Creature, ma sopra tutte Sophisticated Lady, il cui inciso mandava in visibilio George Gershwin. Celebre il solo del sax baritono di Harry Carney, fortemente maschile e allo stesso tempo morbido e mieloso, che dimostra come la respirazione continua sia nata in quegli anni, forse anche prima come dimostra l’obbligato di clarinetto di “High Society”, inciso negli anni Venti. Brano orchestrale è Perdido con un Blood count, in mezzo per ricordare uno degli ultimi pezzi composti da Strayhorn, datato 1967, con la sua melodia drammatica, i pensieri interrotti e il fatalismo delle battute finali, “Blood Count”, tra l’altro in minore, un Re minore insolito, evocante le conseguenze devastanti del cancro del compositore. Quando nel 1937 dopo una lunga tournée in Europa, conclusa in Texas, Duke Ellington tornò a suonare al Cotton Club, Caravan, era il suo pezzo più importante. Questo brano era firmato da Juan Tizol, trombonista portoricano, con lo stesso spirito esotico che ha ispirato l’effigie delle sigarette Camel, il quale conferì una nuova dimensione all’orchestra attraverso le sue “Conghe” e “Carovane”, autore anche di Perdido. Un brano che porrà ancora in luce l’orchestra, Rockin’ In Rhythm, prima di ascoltare The Mooche simbolo insuperato del jungle style affidato da Ellington alla sordina wa-wa di James “Bubber” Miley. Ed ecco The Star Crossed lovers”, da Such Sweet Thunder, una delle ballad più sensuali della storia del jazz, dedicata agli amori di Antonio e Cleopatra, un omaggio all’inimitabile suono di Johnny Hodges. L’ orchestra di Ellington, infatti, è una compagine in cui s’intrecciano molteplici elementi psichici e musicali. E’ musica di Ellington, certo, ma al tempo stesso è la musica di ogni singolo membro dell’orchestra. E’ giusto questo il segreto del celebrato “Effetto Ellington”, che ci trascina in Ellingtonia. Sulla front line dell’orchestra, gli insuperati sax ducali, regnava incontrastato il sax contralto di Johnny Hodges, detto The Rabbit, il coniglio. Le sue improvvisazioni erano il pezzo forte dello spettacolo. Ritroveremo le sue morbide acciaccature, il suo sound incantevolmente terso, il fraseggio asciutto, nervoso e agilissimo, mantenuto entro arpeggi distanziati, i suoi glissandi da delirio, in questa Ballad. “Il tema è di Strayorn (l’alter ego di Ellington, l’ombra china sulle partiture a cavar fuori i più incantevoli frutti dell’orchestra) – diceva Johnny – l’ha scritto per me. Del resto, quasi tutti i suoi temi li ha scritti per me, ma quei passaggi li ho inventati io. Anzi no li ho brevettati”. Uno swing senza fronzoli è In a Mellow tone, in cui apprezzeremo la forza solistica dell’intera orchestra, che suona con grande duttilità andando ad affermare il trionfo dell’idea che è alla base di questa formazione l’intesa assoluta unitaria delle sezioni che tessono un magico tappeto armonico nell’ambito di un’ottava. Non mancherà l’Anitra’s Dance dal Peer Gynt di Grieg, che fa il pari con the Nutcracker suite da Tchaikovsky. Un passo indietro per arrivare al 1938 per ascoltare I Let A Song Go Out Of My Heart scritta per la parade del Cotton Club e gran finale con Things aint’ what they used to be, con ancora il sax alto solista sulle tracce di Johnny Hodges.