Terrorismo - Le Cronache
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Terrorismo

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di Alberto Cuomo

In Occidente, e in Italia, si è opposta la necessità per Israele di difendersi al terrorismo di Hamas creando un dualismo utile a formare opinioni divise nella definizione di buoni e cattivi. È indubbio che le azioni portate dagli uomini di Hamas nei Kibbutz israeliani sono tipiche del terrorismo, così come le incitazioni alla Jihad da espandere nell’intero Occidente  invitano ad atti terroristici. Eppure, forse, operare un taglio netto  tra le ragioni di Israele e dell’Occidente, ritenute “giuste”, e i moventi dei terroristi intesi “ingiusti”, non conduce da nessuna parte, verso alcuna soluzione utile di lungo periodo. Oltretutto se si guarda ai possibili effetti di tale visione non si può non osservare che le ragioni di Israele e la richiesta da parte di molti cittadini israeliani di vendicare le stragi operate da Hamas con una operazione di polizia, sia pure condotta con l’esercito, e quindi in una falsa guerra tra due fronti, potrebbero produrre una faida incolmabile ed altre violenze. A voler rimanere in campo teorico il termine terrorismo, ha nel suo etimo, in quasi tutte le lingue, compreso il sanscrito, la nozione del tremore e, del resto, ciò che ci spaventa, che ci terrorizza, induce tremore, l’essere malfermi sulle gambe sino a cadere. Ma è altresì il malfermo a poter voler reagire invogliando terrore. E non sono forse le cose instabili, tremule, non fisse di fronte a noi, già a determinare una incomprensione e pertanto un timore? E sulla violenza si è interrogato proprio un intellettuale ebreo, Walter Benjamin il quale ha scritto un saggio breve, tra il 1920 ed il 1921, intitolato Zur Kritik Der Gewalt, ovvero “Sulla critica della violenza”. Il termine tedesco gewalt in realtà riunisce in sé i significati di violenza-distruzione e potere, nelle altre lingue europee indicati con due parole diverse, violentia e potestas, ovvero violence e pouvoir o power. Dopo aver criticato sia il giusnaturalismo che giustifica la violenza, esistente in natura, in vista di un fine, sia il giuspositivismo che la legittima se consegue da un assetto legale rendendola giusta, Benjamin rileva come già il termine tedesco, gewalt, mostri una ambivalenza secondo cui diritto e giustizia vivono in una coesione dialettica con la violenza, in una unità dei contrari, sì che la violenza appartenga allo stesso diritto dello Stato che la esercita, legittimamente, per sostenersi, laddove molta violenza contro le istituzioni statali può a sua volta ascriversi a un diritto naturale. Marx aveva analizzato tale contraddizione rilevando come il conflitto, violento, tra capitale e classe operaia, trovasse compromessi i quali non fossero che una forma provvisoria di arresto dello scontro in attesa di altre violenze. Secondo Benjamin vi è un altro tipo di Gewalt che non è quella che ha il potere di decidere in un conflitto tra diritti o di determinare un loro compromesso, quanto il darsi di una forza che piega lo stato d’eccezione che è lo stesso Stato moderno, democratico, il quale, in nome del popolo sovrano azzera ogni potere extrastatale censurando ogni altra violenza che non sia la propria, così come è evidente anche nella più banale azione di polizia. Per Beniamin, a differenza che per Carl Schmitt, lo stato d’eccezione non è quello che sospende le regole democratiche, ma è lo Stato in quanto tale dove regola ed eccezione coincidono dal momento sono in suo assoluto potere. Per questo l’unico potere-violenza giustificato è quello di Dio, che  punisce i trasgressori della sua legge, ovvero quello del proletariato rivoluzionario che interrompe ogni possibile stato d’eccezione determinando una democrazia reale nella soddisfazione dei bisogni. Singolarmente anche per i palestinesi, come per gli ebrei la violenza viene rinviata al realizzarsi del regno di Dio. Jihad infatti, secondo l’enciclopedia Treccani, significa “sforzo” rivolto all’automiglioramento del credente per assurgere al divino. Solo le interpretazioni più recenti ne enfatizzano il significato di lotta fisica rivolta ad affermare Dio e, pertanto, di guerra santa. Anche da questo punto di vista il conflitto in corso in medio-oriente rischia di espandersi in una guerra di religione in cui viene meno il concetto di pace essendo inconciliabili i due presupposti di fede. E fa certamente pensare in questo senso la reazione israeliana alle parole del presidente dell’Onu Gutierrez che sollevavano solo la questione dell’ìncolumità dei civili palestinesi, interpretate invece come un attacco ad Israele, tale da far impedire l’accesso ai funzionari delle Nazioni Unite. Né può valere il tentativo di Giorgia Meloni di proporre,  nel sostenere che “Israele ha diritto a difendersi”, la realizzazione di due stati per due popoli, il quale, cadendo nel vuoto, senza riscontri internazionali, è destinato a fallire. Naturalmente non si può pensare ad una trattativa con il terrore sebbene sia necessario porre termine alla violenza, da ogni parte, perché è questa che, interpretata in accezioni religiose, impone la distruzione dell’altro. Purtroppo l’Occidente è affetto da un’altra religione che ne limita la ragione e che non è quella cattolica, quanto quella del denaro e del potere, sì che i paesi occidentali probabilmente continueranno a sventolare inutili bandiere e a proclamare inutili slogan in attesa che vinca il più forte condannando migliaia di innocenti alla morte.