Il maestro Giovanni Acciai ospite di un incontro indetto dal Coro Estro Armonico e Silvana Noschese, per un’introduzione al rito delle tenebre e alla sua musica emozionale
di Olga Chieffi
L’ Ufficio delle tenebrae è, tra i molti riti della Chiesa cattolica, senza dubbio uno dei più suggestivi. Nei tre giorni in cui si celebrano la passione e la morte di Cristo (il sacrum triduum: giovedì, Feria V in Coena Domini, venerdì, Feria VI in Parasceve, e Sabbato Sancto antecedenti la Pasqua) canti e simbologie ataviche si intersecano in un continuum liturgico che investe oltre la sfera religiosa anche quella emotiva. I temi più profondi della natura umana – la cognizione del dolore, la spiegazione della morte – vengono elaborati e indagati in un percorso che centralizzando gli avvenimenti tramandati dai Vangeli, rilegge in chiave salvifica tutta la storia del popolo ebraico. La morte di Cristo come confine, come punto di non ritorno, come soglia, come passaggio da una condizione di schiavitù a una di liberazione, dal peccato alla vita. Simboli universali di questo movimento: le tenebre e la luce. E proprio il termine tenebrae definiva nella liturgia medievale l’Ufficio che si celebrava durante il sacro triduo, in cui gli altari venivano spogliati dalle suppellettili, le candele progressivamente spente, fino a sprofondare nelle tenebre appunto, le campane legate e il silenzio – lo stesso silenzio dell’uomo di fronte all’incomprensione della morte – si impossessava dei luoghi sacri. T ematiche tanto cruciali e momenti tanto ricchi di pathos non potevano che rispecchiarsi in una liturgia in cui la tensione spirituale si nutre dei riti e li assume a voce dell’inesprimibile. “Per comporre musiche sacre ispirate alla sofferenza ed alla morte (siano mottetti penitenziali o responsi della Settimana Santa o passioni o improperia o qualsivoglia altro suggetto similare), doverebbe star avvertito il compositore di non fare solo musica buia e arabbiata in falsa larghezza, forzando la penna oltr’il naturale, perché per i sentimenti di dolore o di preghiera penitente o di pianto le oportune armonie et i sani contrapunti non dovrebbon perdere mai la luce, la vaghezza e l’affectione (come dev’essere per i divoti che anche ne’ patimenti giamai scordano la speranza) avendo cura particularissima degli accidenti e delle pause (che della musica sono il colore e ’l respiro): doverebbe insomma la composizione riescir naturale e profonda”. Con queste parole il fiorentino Giovanni Francesco Beccatelli, teorico, maestro di cappella e organista nella cattedrale di Prato, illustrava la sua concezione di musica per le “tenebre”. Per Officium Tenebrarum s’intendeva, nella liturgia delle ore preconciliare, il solenne mattutino da compiere durante il triduo pasquale. Traendo la sua origine dal precetto del Cristo di pregare senza interruzione, e considerata pertanto partecipazione alla preghiera personale di Gesù, la liturgia delle ore costituisce la preghiera ufficiale “pubblica” con la quale i cristiani santi cavano i momenti della giornata attraverso la lettura dei salmi e la meditazione sulla Sacra Scrittura. Fin dal principio del XV secolo l’ufficio del mattutino veniva realizzato la sera del giorno precedente (“de sero, hora competenti”), per consentire la più estesa partecipazione possibile di fedeli. La celebrazione del Venerdì Santo era detta “delle Tenebre” in ricordo degli antichi riti notturni attraverso i quali si intendeva rievocare l’oscurità che discese sulla terra alla morte di Cristo e l’immagine della Chiesa che brancola nel buio senza il suo Dio. Questa sera, alle ore 19, on line su Zoom, sarà il Maestro Giovanni Acciai, ospite del coro Estro Armonico e di Silvana Noschese, ad introdurci a questo rito ed alla sua musica, in un incontro ove verrà analizzato il Responsorio nell’interpretazione polifonica rinascimentale e barocca.