di Olga Chieffi
Alberto Brenzoni, matematico, Peter Aselmeryr, svizzero e rappresentante di tessuti, Marie Christine Bonsignorì, “mademoiselle” in Grand Tour, Teofilo Scorza, tipografo romano sull’orlo del fallimento e David Stephenson, colonnello dell’esercito britannico in congedo, gli ospiti dell’ Hotel salernitano, con Edoardo Scannapieco, aspirante giornalista, ma maître presso l’Angleterre per vivere. Questi i personaggi base del secondo romanzo di Carmine Mari Hotel d’Angleterre, in libreria per le edizioni Marlin, cui si aggiungono la suffragetta Amelia Minervini e Pavone agente dell’Ufficio Informativo che dovrà portare in porto l’Operazione Angleterre. Carmine Mari in questa sua seconda opera pone sulla diafana pagina dieci gocce tonde e inafferrabili di mercurio e giocandole sulla sua esperienza di uomo curioso e colto, sull’affiorare insistente e sottile di ricordi non vani –richiami del passato vivificati nell’ambito di un minuscolo, sottinteso “ateismo” non impervio a incursioni improvvise di lancio di candelotti di dinamite in mare, – guida il lettore complice attraverso gli enigmi di un intrigo internazionale dal raffinatissimo gusto storico, i ricettacoli, i luoghi e le situazioni in cui è possibile riconoscerlo e goderne. Non vi possiamo sviscerare a fondo la trama e le caratteristiche dell’ Hotel D’Angleterre, vi invitiamo a leggerlo e di stare attenti ai particolari, ad una prima vista insignificanti, ma noi che conosciamo da tempo l’autore, possiamo dirvi che Edoardo Scannapieco rispecchia il carattere di Carmine Mari, pronto sempre a rimettersi in gioco per inseguire il suo scopo, con tenacia e generosità. Un’altra protagonista del romanzo è la Salerno Belle Epoque, la “piccola città a misura d’uomo” che agli albori del XX secolo aveva raggiunto la cifra di circa 47000 abitanti, in cui il corso Garibaldi costeggiava il mare da cui era flagellato nei giorni di tempesta, vi si espletava il rito della passeggiata, che aveva i lampioni a gas, dove davanti ai circoli e ai caffè si ammiravano le toilettes delle giovani donne e si scambiavano pettegolezzi e malignità, mentre dall’Hotel d’Angleterre, uscivano sfilando per il corso, le carrozze a due mantici che portavano i turisti inglesi ai “Cappuccini” di Amalfi”. Raffaele Cantarella, nei suoi scritti, ci regala una Salerno “ignara e serena”, Carmine Mari, invece, il quadro di una città quasi ribollente, con episodi di cronaca nera, differenze sociali, che la condurranno al preludio della Prima Guerra Mondiale, con conseguente affermazione del Nazismo e del Fascismo, attraverso notizie precise, sulla Salerno di quel periodo, da vero topo di emeroteca, in cui Edoardo ha quale amico il giornalista Donato Vestuti, un inquadratura ad alta definizione, che sostiene, col cesello dell’incisore, l’evolversi della trama, accattivante, che è assolutamente vincente nel libro. Carmine Mari descrive tutto, anche l’espressione sprezzante o la cosiddetta spalluccia, quasi come su di un set. In un assembramento di “commissari”, intravvediamo in questo testo una riduzione filmica, che ci porterebbe a scoprire il vero volto di una Salerno, idealizzata, ferma, tra i suoi teatri, i salotti, le bande, gli chalet e le quindicine delle case chiuse, ma pienamente immersa in un periodo storico, di non semplice interpretazione, ove il pavimento su cui si inanellavano ancora i valzer e le mazurke era fradicio e stava per crollare, con tanti spunti, a partire dalla guerra Italo-Turca, al fermento socioculturale di rivendicazione dei diritti da parte della classe operaia, il movimento delle suffragette, che lottarono per il diritto di voto universale, il diritto allo sciopero e adeguamento salariale della classe operaia, considerata al Sud Italia men che meno. L’invito di Carmine Mari è a guardare e a leggere con occhi diversi la propria storia, il proprio territorio, per andare così a ricostruire le radici dell’attuale società e sperare di poterla migliorare, insieme ad Edoardo Scannapieco, che per ora torna a rassettare le stanze, insieme alla ammiccante Agnisetta.