Spioni, l’inchiesta flop - Le Cronache Attualità
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Spioni, l’inchiesta flop

Spioni, l’inchiesta flop

Antonio Manzo

L’Italia, rassegnatevi, va così. E’ solo un clamoroso flop l’inchiesta della magistratura sul dossieraggio con migliaia e migliaia di accessi abusivi nei computer della Direzione Nazionale Antimafia. Quella che è stata definita “solo la punta di un iceberg più grande” dal procuratore nazionale Antimafia, Giovanni Melillo, è stato solo un bel titolo di giornale per il circo mediatico-giudiziario. È un “verminaio”, continua a definirlo il procuratore di Perugia Raffaele Cantone. È solo il flop della Giustizia italiana di tutti i tempi, se mai fosse possibile una classifica. I giudici della Cassazione hanno riconfermato che tutti gli atti del “verminaio” vanno trasferiti per competenza, non solo territoriale bensì’ funzionale, alla procura della Repubblica di Roma perché sono coinvolti magistrati in servizio alla Direzione Nazionale Antimafia. A Perugia non resta che ordinare ad una ditta di traslochi di caricare la montagna di fascicoli e consegnarla alla procura di Roma dove nonostante l’infrequente allerta meteo dei “banchi di nebbia in Val Padana” è molto nota nel mondo giudiziario. Finisce così l’inchiesta nazionale, dopo una denuncia sul dossieraggio presentata dal ministro-spiato della Difesa Guido Crosetto. Ma è solo servita al tritacarne mediatico-giudiziario per affossare la onorabilità di un magistrato di lunga e riconosciuta pregevole carriera. È Antonio Laudati, ex pm in servizio alla Direzione Nazionale Antimafia e già massacrato di sospetto berlusconismo quando assunse il ruolo di procuratore della Repubblica di Bari. È un magistrato di origine irpine che si è fatto con le sue mani e il suo cervello. È andato in pensione non appena è scoppiato il verminaio che lo ha coinvolto. Ma lui è diventato anche, suo malgrado, il protagonista una storia singolare e drammatica nel flop dell’inchiesta dossieraggio. Fu destinatario, insieme al tenente Pasquale Striano, di un ordine di custodia cautelare agli arresti domiciliari per aver ordinato al tenente delle Fiamme Gialle quattro, sì quattro, accessi al sistema informatico, per notizie di reato segnalate poi alle procure della Repubblica competenti. Ma due anni fa, dopo le indagini perugine, il provvedimento degli arresti domiciliati sia per Laudati che per Striano fu clamorosamente rigettato dal tribunale del Riesame. Per Laudati non sussistevano le esigenze cautelari “perché non c’era nessun pericolo di inquinamento delle prove” dicono gli avvocati difensori Andrea e Maria Elena Castaldo. Per Striano è un po’ diversa la posizione. Lui aveva effettuato ben 10.000 accessi alle banche dati della Direzione Nazionale Antimafia. Se per i quattro accessi Laudati aveva già dato all’inizio del “verminaio” spiegazioni convincenti, Pasquale Striano non aveva mai indicato il mandante dello sterminato accesso alla banca dati che “non aveva fatto emergere finalità economiche, né rapporti con servizi segreti stranieri”. Chi ordinò a Striano i 10.000 mila accessi al sistema informatico, scaricando 33.528 file dalla banca dati della Direzione Nazionale Antimafia? “Questo numero si atti caricati che fine ha fatto?” si chiese Cantone con l’interrogativo inevaso anche per il “silenzio” inquisitorio osservato da Pasquale Striano .Al tempo, procuratore nazionale antimafia era Federico Cafiero de Raho, poi eletto deputato del Movimento 5 Stelle nella ordinaria trasmigrazione dei pm antimafia nel ruolo politico. Proprio sul deputato Cafiero de Raho fu aperta, ingiustificatamente, la polemica su un conflitto di interessi per il suo ruolo nella Commissione antimafia chiamata a esaminare il caso del dossieraggio. Il magistrato Giovanni Russo coordinatore preso la Direzione Nazionale Antimafia della struttura dove avvennero gli accessi abusivi alle banche dati segrete fu rimosso dal procuratore nazionale Dna Giovanni Melillo ma poi il ministro di Giustizia Carlo Nordio lo nominò capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. In Italia, rassegnatevi, va proprio così.

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