di Salvatore Memoli
Dopo la scomparsa di mia madre Enza Basso Memoli e di Sonu, mi resi conto che era necessario raccogliere la memoria dei fatti importanti che potevano raccontare le persone e l’accaduto. Nacque Fuori dalla Clandestinità, un libro prezioso, memoria che aiuta soprattutto quando il tempo e la stanchezza sopraggiungono ad offuscare il ricordo. Misi insieme fatti che rileggendoli avvicinano agli scomparsi ed aiutano a vedere con chiarezza l’evoluzione di vicende che hanno portato a quanto accaduto. La realtà degli extracomunitari nella Piana del Sele si percepiva in quegli anni soltanto in superficie e ciò sicuramente non aiutò a capire la verità di un’economia agricola sommersa, poco controllata e con molteplici variabili, dove prevaleva l’arte di arrangiarsi. Lo Stato sembrava aiutare la scaltrezza di alcuni allevatori, con legislazioni piovute dall’alto, prive di qualsiasi razionalità, ed utili a creare confusione ed opportunismo. Come si può definire l’impegno di un allevatore di bufale che con un fazzoletto di terra, con terreni presi in affitto, con una situazione debitoria al limite del collasso, promuove la richiesta di permessi di soggiorno per extracomunitari, nell’ordine di diverse unità? Qual è ed era la rete che sta dietro questa attività? Quali personaggi, le promozioni e le coperture di un’attività di sfruttamento divenuta molto redditizia? La media dei costi di ogni singolo permesso di soggiorno, per chi già viveva sul suolo italiano, era di settemila euro; se si moltiplica il costo unitario per il numero di permessi richiesti ed ottenuti si conosce il giro d’affari.Si tratta di moneta contante che ossigena le economie in crisi e fa circolare benessere laddove si producono debiti e perdite. Tutti quelli che hanno un vago sentore della vita nelle aziende bufaline, sanno della vita di questi stranieri, delle loro attività lavorative, del rischio di contagio di malattie, delle loro precarie sistemazioni abitative, della loro malnutrizione o non corretta alimentazione, della malinconia per la famiglia lontana…, della consapevolezza che la loro vita é un’espiazione a cui sottomettersi, in vista di un futuro miglioramento. Gli stranieri erano e sono sottomessi ai datori di lavoro, quasi mai si ribellano. Anche Sonu era passato attraverso una trafila di questo tipo. Giunto in Italia con un viaggio e visto turistico di tre mesi, si ritrovò ben presto senza il passaporto, avviato al lavoro con chissà quali impegni assunti dai suoi caporali. La sua giornata di lavoro iniziava alle 4 del mattino, per curare il bestiame ed occuparsi della mungitura. Questo giovane di 20 anni, la cui famiglia in India godeva di privilegi legati alla condizione sociale, si ritrovò in Italia per cercare una nuova libertà, trovandosi ad essere un moderno schiavo. Tutto quello che faceva di mattina doveva ripeterlo di sera, mentre tra l’una e l’altra attività veniva utilizzato per l’aratura dei campi o per esigenze dell’impresa edilizia del datore di lavoro.A tarda sera, senza mai fermarsi dal mattino, rientrava nella sua roulotte, senza una doccia, senza cesso, senza cucina. Tutto questo era il destino di questo giovane, senza possibilità di ribellarsi. Sonu andava difeso nella ricerca di rispetto di elementari diritti umani, ancor prima di quelli di lavoratore.Abbandonare quella situazione fu per lui un atto di coraggio ma si ritrovò presto senza lavoro, casa e salario. Lo seguiva un connazionale che lo ospitò per un tempo, fino a quando il suo datore di lavoro chiese di allontanarlo dalla sua casa.Il datore di lavoro era un tipo severo, violento, quasi sempre lo prendeva a calci e lo riempiva di improperi razzisti ed offensivi. Però questo datore di lavoro era ben avviato nel business degli affari per gli stranieri e promise il permesso di soggiorno al suo lavoratore dipendente e a Sonu che, per un periodo, era rimasto in un suo container. Quando Sonu fu cacciato, venne a lavorare da noi, famiglia Memoli, dopo una lunga pausa trascorsa al Nord. La mia famiglia chiese il permesso di soggiorno per Sonu e l’ottenne. Il permesso di soggiorno, invece, chiesto dal datore di lavoro del connazionale non arrivò mai, anzi questo permesso era stato richiesto soltanto per lavoro stagionale. Dopo il diniego del permesso di soggiorno all’amico di Sonu cominciarono i problemi per lui.Fu quel datore di lavoro negligente e violento che assicurò protezione all’amico indiano di Sonu, fermato dagli investigatori perchè ritenuto coinvolto nella vicenda del sequestro di mia madre e Sonu. Il datore di lavoro che prendeva a calci l’indiano, cacciò la sua umanità e pagò un avvocato per farlo assistere. Indicò l’avv. Gerardo Celbalo, inviandolo al centro di Bari, dove erano stati trasferiti i due indiani che erano vicini a Sonu, per parlare con l’inquisito.Chi era l’avv. Cembalo? Un giovane professionista che si era sempre occupato nella sua attività « principalmente del disbrigo di pratiche di assunzioni e regolarizzazioni di cittadini extracomunitari, con particolare attenzione ai cittadini orientali ».Perché nominare un civilista in questa fase, senza pensare che per la gravità dell’accusa sarebbe stato utile un valido avvocato penalista? Quali erano i rapporti tra il datore di lavoro dell’indiano e l’avv Cembalo?Che cosa possono dire il datore di lavoro della Piana di Paestum e l’avvocato Cembalo, di questa affermazione registrata dalla Polizia, durante il fermo dell’indagato e trattenuto in ambienti indicati dalla Giustizia salernitana « io conosco dove stanno ( Sonu e Enza Basso), ma non lo dico ». Aspettiamo ancora una risposta. La meritiamo,come figli e familiari, ed anche come cittadini che credono nella Giustizia.È tempo di dire una parola più chiara su tanti aspetti dell’intera vicenda e sui rapporti con l’intera coraggiosa indagine degli sfruttamenti di stranieri sul territorio salernitano che ha creato nuovi ricchi e gestione di affaires a molti zeri.