Quarto appuntamento, martedì 4 giugno, alle ore 20, per la VI edizione del Festival di Musica da Camera Santa Apollonia, con una riflessione sulla evoluzione della sonata da Mozart a Martinu
Di OLGA CHIEFFI
Serata dedicata alla riflessione sulla sonata e sua evoluzione in un confronto tra archi e fiati: Mozart e Brahms per il violino e Jacques Ibèrt e Bohuslav Martinuper il flauto. Riflettori accesi,alle ore 20 (ingresso libero) per laVI edizione del Festival di Musica da Camera Santa Apollonia, un evento istituzionalizzato del Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci”, che anima il centro storico, ospite della Bottega San Lazzaro di Chiara Natella. Ad inaugurare la serata saranno Antonio Nobile al violino e Lorena Oliva al pianoforte, i quali proporranno la Sonata K378 in Si Bemolle Maggiore di Wolfgang Amadeus Mozart. Dopo aver lasciato la corte salisburghese del principe-arcivescovo Hieronymus von Colloredo, Mozart si stabilisce a Vienna per vivere della sua libera arte: nell’estate del 1781 compone subito quattro Sonate per pianoforte e violino. L’opera scritta probabilmente per la sorella Nannerl e il padre Leopold, porta già i segni della svolta concertante: il contributo del violino si emancipa dal ruolo di accompagnamento e acquista titolarità piena di dialogo, mentre la scrittura pianistica si fa tecnicamente impegnativa e brillante. Nel primo movimento abbonda il materiale tematico (le idee principali e secondarie sono tutte ben caratterizzate) e nello sviluppo, che s’apre in fa minore, il crescere della tensione è segnato dalle progressioni modulanti e dagli ampi salti intervallari del violino. L’Andantino sostenuto e cantabile ha figurazioni cullanti, sentimentali, ma le sezione centrale si intensifica con un cambio di passo ritmico in sedicesimi; come pure è assai efficace il ribattere di terzine del penultimo episodio del Rondò, prima del ritornello in imitazione e della coda. Il duo continuerà con la Seconda Sonata in la maggiore op. 100 di Johannes Brahms, datata 1886) caratterizzata da un sapore melodico che si distende in un assoluto senso di pace e tepore, un’amabilità trasparente che sembra specchiarsi nelle acque del lago di Thun, in Svizzera, dove il compositore trovò l’ambiente ideale per immergersi nella scrittura cameristica e liederistica – “Ogni cosa in questi luoghi mi dà l’emozione di un canto assoluto” confessò. Non a caso questa pagina, composta nell’estate del 1886, è ricordata come Thunersonate, e anche in essa s’intravedono raffinati echi liederistici. Passaggio di testimone al flauto di Andrea Tedesco al violino di Mauro Tamburo e al pianoforte di Raffaele Vitiello, per tre brani di raro ascolto. Si comincerà con i Deux Interludes per flauto, violino e pianoforte composti da Jacques Ibert nel 1946. Nelle sue composizioni, Ibert ha rianimato l’equilibrio ed i processi chiaramente riferibili a stili musicali precedenti, rielaborandoli in termini contemporanei e altamente personali. “Voglio essere libero ed indipendente dai pregiudizi che dividono arbitrariamente i difensori di una certa tradizione e i partigiani di una certa avanguardia”, affermava infatti il compositore francese. La ricerca della libertà musicale significava l’allontanamento dalle due tendenze artistiche che dominavano la scena musicale francese alla fine del ventesimo secolo, l’impressionismo francese e l’espressionismo tedesco. Ibert mostra qui una sensibilità tutta francese, con chiarezza, equilibrio, colore e nitide impressioni. I due lavori fanno parte della musica che Ibert compose per la commedia di Suzanne Lilar “Le Burlador”, e riflettono il gusto dell’epoca per il mélange tra le atmosfere francesi e le spagnole, come del resto accadeva con Massenet e Ravel. Il primo Intermezzo è pervaso da una quieta poesia, in un tempo lento e sospeso, mentre il secondo ha tratti spagnoleggianti, con l’andamento di una danza andalusa. Chiuderà la serata la Sonata H.254 del compositore ceco Bohuslav Martinů. L’opera fu scritta a Parigi nel 1937, per l’ensemble del flautista Marcel Moyse ed è in stile neoclassico, in cui la semplicità è abbinata a un virtuosismo di grande eleganza. dei eccezionali compositori cechi del XX secolo. Il pezzo non ha introduzione, e porta direttamente dalla prima nota in un caleidoscopio di suoni energico. Il movimento di apertura, Allegro poco moderato, è sempre spigliato, anche nel breve lirico interludio Contrappunto brillante e vivace carattere ceco danno il mood agli altri movimenti. L’Adagio schizza un luogo ossessionante e contemplativo. Le tensioni armoniche che si creano tra flauto e violino, si dissolvono nel finale, che sfocia in un Allegretto che parte con un tema vivace simile a quello del primo movimento, creando un carattere estroso attraverso figure in rapido movimento di tutti e tre gli strumenti. Un trio centrale presenta a dolce melodia lirica per il flauto, che viene condivisa con il violino prima che ritorni il tema allegro. Combinando ritmi jazz francesi e melodie popolari ceche, il pianoforte apre la strada al moderato finale. Martinů continua a svelare le sue invenzioni attraverso una serie di variazioni per tutti e tre strumenti come il trio arriva a un delizioso e liberatorio tono di do maggiore.