Pina Ferro
«Ho sempre fatto dell’onestà il filo conduttore della mia vita e. grazie alla sentenza della Corte di Appello finalmente è stata fatta giustizia e per me è finito un incubo che mi ha segnato non poco». A parlare è Silvio Feola di Acerno, titolare di un’azienda agricola e noto per la sua attività politica al servizio del suo paese e dei Picentini (è stato anche presidente della comunità Montana zona Monti Picentini). Nella tarda mattinata di ieri, i giudici della Corte di Appello di Salerno lo hanno assolto dal reato di usura, ribaltando completamente la sentenza di primo grado che lo aveva visto condannato a quattro anni. Prescritto, invece il reato per l’imprenditore Antonio Meluzio di Battipaglia. Feola, assistito dagli avvocati Pierluigi Spadafora e Carmine Giovine, ieri ha finalmente tirato un sospiro di sollievo e così come egli stesso ha affermato :«ora può ricominciare a vivere anche se l’intera vicenda mi ha segnato non poco». Il pensiero di Feola è stato rivolto soprattutto alla sua famiglia ed ai suoi figli che lo hanno fin dal primo momento sostenuto in questa battaglia per l’affermazione della verità. Accusato di usura, feola fin dal primo momento ha collaborato con la magistratura pur professando sempre la sua innocenza. Inoltre si è sempre affidato tortalmente ai suoi legali che hanno lavorato per dimostrare, attraverso prove documentali dell’infondatezza dell’accusa che era stata contestata al loro assistito. Dodici mesi agli arresti domiciliari, poi l’assoluzione per due dei tre capi d’imputazione e la condanna a quattro anni ha profondamente cambiato Feola che ha dovuto fare i conti anche con lo stop della sua azienda agricola per ben 12 mesi, I dodici mesi che ha trascorso ai domiciliari e che gli hanno impedito di curare i propri affari e le attività. Lo scandalo scoppiò nel 2009, quando i carabinieri di Battipaglia notificarono a Silvio Feola un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari a seguito di alcune denunce di imprenditori e commercianti che raccontarono di essersi rivolti a lui per chiedere aiuto economico in un momento di difficoltà e di essersi poi ritrovati spogliati dei loro beni, impossibilitati a pagare un debito che aumentava sempre di più. Nell’affare era coinvolto anche Meluzio, condannato a tre anni in primo grado. In primo grado i giudici avevanoin parte accolto la tesi dei difensori Pierluigi Spadafora e Carmine Giovine, secondo i quali i presunti episodi “strozzo” erano in realtà pratiche di sconto titoli. In un caso l’usura è stata invece ritenuta provata e il Tribunale emise una sentenza a quattro anni. Sentenza che ieri è stata completamente ribalta dai giudici di secondo grado.