di Salvatore Memoli
Non diremo a tutti, soprattutto ai giovani, che si può vivere come lui, gli diremo che la vita è fatta di tanta inutile umanità, di tante privazioni, di cadute inconsapevoli, di spinta al bene tra un male che ci assale, di carne e sangue che condizionano ogni battito di ali e di spirito, di speranza che eleva, incoraggia e conduce verso la vita eterna attraversando tante ingiuste ed insopportabili difficoltà. Diremo a tutti di accettare la vita per come dovrebbe essere e non per com’è! Solo Dio può capire e giudicare, gli altri preferiscono dare sentenze, attribuite ad un Dio che non è Amore, un Dio che non scende nelle viscere della storia individuale e non lo lasciano intervenire nella
vita di tutti. Gli altri che non conoscono un Dio che sa emozionarsi, sa essere spettatore non sempre guardato. Solo la vera Fede ricompone ogni cosa e dalle ceneri permette a Dio di cercare i tratti dell’uomo a lui somiglianti, nella prospettiva finale di ricomporre il suo volto, il volto di Dio nella storia di ogni creatura. Dove sono i peccati, le fragilità, quelle pietre scagliate da chi si sente in grado di sottolineare le diversità? Scontano la loro caducità di fronte a Dio che perdona, che disarma la mano dell’uomo e lo invita alle sue altezze dove tutto ha altre dimensioni e letture.
No, non diremmo a un giovane che la naturale licenziosità è il segreto della vita ma ci fermeremo lasciando solo a Dio, con le sue esclusive prerogative, di ricomporre il resto mancante del suo volto, nella storia di vita di un uomo.
Quanto sono state belle, tutte, le parole dell’omelia del pastore di Milano, davanti a quello che restava di un uomo grande e fragile come Berlusconi. Le sue parole potevano essere molto simili ad un giudizio ed invece sono state un viatico di speranza, un inno alla gioia, con cui presentare a Dio, in piedi, quello che appare dell’illustre scomparso, purché ne faccia quello che è nel suo piano salvifico riservato per ognuno.
Era la Chiesa ambrogina, quella “santa e meretrice”, madre dei deboli e amministratrice di amore a compiere il suo rito di traghettamento di Berlusconi verso l’eternità, come figlio tra i figli, peccatore tra tanta grazia “meretrice” che consuma ogni anelito puro di santità. Anche i santi hanno corpo umano, tra tanta luce di eternità, che a tratti si oscura.
Dove era la luce quando tutto era buio? C’era e preparava l’alba, l’alba della resurrezione!
La Chiesa ci ricorda la resurrezione. La luce ci permette di leggere la vicenda umana dell’uomo della politica, degli affari, dei sentimenti e ci riporta nelle categorie declinate con naturale fragilità.
La Chiesa di Delpini ci ha dato la dimensione escatologica della vita umana, ci ha fatto apprezzare la vita del ´hic et nunc’, ma ci ha ricordato che dietro ogni storia si deve aggiungere quello che Dio compie per ricomporre il suo volto nella vicenda umana.
La Chiesa di Delpini ha scelto la grazia al peccato, ha indicato la via della misericordia, ha messo in pratica il vangelo dell’incontro, del ritrovarsi più di ogni parola di giudizio e di condanna. La Chiesa di Milano, questa meravigliosa erede del pensiero di Sant’Ambrogio, questa Chiesa che si ricorda di essere ‘santa e meretrice’, ha scelto di restituire a Dio una creatura in piedi, ha guardato alla sua dimensione escatologica, ha accompagnato un fratello senza ergersi a giudice, da maestra saggia ed austera.
Nella scelta di Delpini c’é una catechesi che si rinnova e si fa carico dell’essenza della vita. Una chiesa che presenta a Dio i suoi fratelli e ricorda a tutti che non si giudica nessuno, perché il giudizio é prerogativa di Dio che esercita con una sua speciale modalità: la misericordia!