di Giuseppe Fauceglia
Ad un anno dalla scomparsa di Silvio Berlusconi nel dibattito culturale non sono state ancora compiutamente esaminate le significative innovazioni che il suo ingresso in politica sono state in grado di determinare. Invero, anche le riflessioni più recenti sono ancora influenzate da quel malcelato senso di fastidio che la sinistra ideologica manifesta nei confronti del fondatore di “Forza Italia”, ciò impedendo di percepire la novità del suo messaggio. Sul tema è necessario sottolineare il rilevante l’intento berlusconiano di costruire un liberalismo popolare che non restasse prigioniero nei rigidi perimetri che nella prima Repubblica delimitavano le opzioni dei singoli partiti, così individuando un terreno su cui costruire una nuova idea di “libertà” che unisse il liberalismo cattolico, il liberalismo classico e il riformismo socialista. Non si trattava di utilizzare “pezzetti” di pensiero (invero minoritario) rinvenienti in segmenti dispersi tra i vari partiti tradizionali, travolti dall’ondata anomala di “Mani pulite”, quanto di dare spazio ad una diversa concezione della politica e del ruolo delle istituzioni. Un’idea di popolarismo liberale che superava la rigida contrapposizione tra un’economia di mercato autosufficiente e determinata dall’ordo naturae e una politica economica finalizzata all’utilizzo esclusivo e disordinato delle risorse pubbliche. Un elemento centrale era rappresentato dal recupero delle funzioni dello Stato, che nella tradizione liberale, cattolica e socialista non erano mai state concepite come statalismo, ma neppure come assoluta assenza dell’intervento pubblico. In questa prospettiva si inseriva una nuova concezione del mercato e dell’impresa, nella cui coordinate funzioni Berlusconi intravedeva un meccanismo creatore di risorse, nella prospettiva delle tradizioni antiche del cattolicesimo e del socialismo, laddove la libertà non poteva ritenersi disgiunta dal mercato, dalla giustizia, dai diritti individuali e dai doveri sociali. In questo, si può ravvisare il coraggio di affrontare le situazioni senza doversi mantenere nella forzata coerenza di un sistema ideologico predefinito, aprendo il pensiero politico alla variegata realtà dei nuovi fenomeni aggregativi e ai nuovi bisogni delle classi produttive, in cui si presentavano sostanzialmente convergenti gli interessi dell’impresa e dei lavoratori, in uno alla importanza assegnata alle cc.dd. “classi medie” o al popolo delle partite Iva, sostanzialmente marginalizzato nelle proposte dei vecchi partiti politici. Non può neppure essere dimenticata la centralità che nel pensiero berlusconiano assumeva la “persona” (non l’individuo) nella tradizione giudaico-cristiana, nel tentativo di opporsi alle tendenze di massificazione e di riduzione totalizzante. Qui si intravedono le radici rinvenienti nel Codice di Camaldoli, documento di vari studiosi cattolici, che nel 1943 aveva prefigurato la successiva Costituzione economica, in uno ai diritti e ai doveri di un moderno Stato sociale. Berlusconi fa proprio, modernizzandola, quell’ impostazione, in cui lo Stato interventista non era mai statalista perché si collegava alle economie e alle società aperte del mondo occidentale, frutto della dialettica tra le varie realtà presenti in società complesse. Il fondatore di Forza Italia fece in ciò proprio il pensiero di Don Luigi Sturzo, capace, già al tempo, di coagulare personalità di diversa sensibilità, come il futuro Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, per affrontare i rischi presenti nelle degenerazioni statalistiche e meramente assistenziali. E come dimenticare la prospettata necessità di una profonda riforma dell’imposizione tributaria, sulla scorta di un altro grande intellettuale cattolico, come Ezio Valori, che aveva costruito il suo pensiero sulla giustizia fiscale nell’ottica ridistributiva fatta propria dalla dottrina sociale cristiana, non disgiunta, però, da un controllo sull’impiego delle risorse e dalla ricerca di un equilibrio tra imposizione e reddito prodotto, da non sottrarre – specie per le imprese – ad un utilizzo produttivo finalizzato allo sviluppo di iniziative capaci di creare lavoro (altro argomento centrale nel pensiero di Berlusconi). Si tratta di un’eredità importante, capace di attrarre, specie nel primo periodo, le più importanti intelligenze italiane, dal filosofo marxista Lucio Colletti (deputato di Forza Italia dal 1996 al 2001) all’economista liberale Antonio Martino (Ministro degli Esteri e Ministro della Difesa), e tanti altri che non è possibile qui ricordare. Insomma, una lezione di “libertà”, in cui si rinvengono le radici anche della nuova Forza Italia, che oggi con Antonio Tajani quella lezione rende attuale e viva, nell’interesse dell’Italia e delle sue Istituzioni.