Scarano, il flop dei giudici. Le motivazioni - Le Cronache Attualità
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Scarano, il flop dei giudici. Le motivazioni

Scarano, il flop dei giudici. Le motivazioni

Antonio Manzo

Che vi fosse stato un accanimento inquisitorio della procura di Salerno sul monsignore della banca vaticana Nunzio Scarano. non era altro che un sospetto. Che non vi fosse neppure, dopo dieci anni di inchiesta, passati tra arresti in carcere e domiciliari, il non-reato per processarlo e condannarlo, ora è una certezza confermata dai giudici della Cassazione. Sono state rese note le dense motivazioni della Cassazione di annullamento della sentenza di condanna di primo grado del tribunale di Salerno (sette anni di reclusione) e della corte di Appello sempre di Salerno (cinque anni di reclusione) che rinvia alla Corte di Appello di Napoli la revisione del processo annullato. L’annullamento della sentenza di condanna è scattato anche per la commercialista Stefania Cascone (cinque anni in primo grado e tre anni in Appello). La clamorosa sentenza mette praticamente fine ad un ramo secco dell’inchiesta Vatican connection, in salsa salernitana, che secondo i giudici della Cassazione non doveva essere neppure iniziata perché non c’era e non esisteva nei fatti il reato di riciclaggio e, se proprio i magistrati salernitani avessero voluto procedere al processo, avrebbero dovuto assolverlo perché il fatto non sussiste. “Il difetto di accertamento imponeva l’assoluzione per insussistenza dl fatto” scrive il giudice estensore Massimo Perrotti Dieci anni di processo, un ramo secco della Vaticano Connection. Dieci anni passati, finiti con una richiesta ai giudici di assoluzione della difesa per un reato insussistente non accolta e, poi in Appello, con la conferma della condanna. “avevamo già dimostrato l’inesistenza del reato di riciclaggio” commenta l’avvocato difensore di Scarano che ha beneficiato della consulenza di Carlo Longobardo, docente di diritto penale all’università di Napoli, e del commercialista Ivan Meta. “Non ci restava che aspettare le motivazioni a noi favorevoli pe l’annullamento della sentenza di appello” confermano gli avvocati Agostino De Caro e Carmine Giovine difensori di Tiziana Cascone. Ma nessuna sentenza potrà cancellare la gestione dell’inchiesta condotta dalla procura di Salerno con un accanimento inquisitorio, espresso persino con costose intercettazioni telefoniche poi divulgate nonostante non appartenessero logicamente alla funzione accusatoria. Fu l’allora arcivescovo monsignor Moretti ad autorizzare un costosissimo impianto di intercettazione che dal campanile del Duomo di Salerno avrebbe dovuto intercettare Scarano e i suoi movimenti con intercettazioni a strascico molte delle quali inopinatamente distribuite nonostante non avessero alcuna attinenza con l’inchiesta sul monsignore della banca vaticana. Monsignor Nunzio Scarano, già responsabile dell’ufficio contabilità dell’Aspa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica) fu condannato in primo grado per il reato di riciclaggio e per la commercialista Tiziana Cascone (presidente tribunale Paolo Valiante; pm Elena Guarino ). I giudici di Appello (Presidente Patrizia Cappiello, giudici Clemente e Conforti; il procuratore generale fece replica) confermarono la sentenza per il reato di riciclaggio compiuto con i conti esteri degli imprenditori D’Amico armatori ricchissimi che avrebbero inviato al Fisco dichiarazione dei redditi infedeli, per una presunta evasione fiscale, mai accertata e mai provata. Evasione fiscale cancellata dal tribunale di Roma. Che, quindi, non c’era stata per i giudici romani. Ma per i giudici salernitani i D’Amico, che non hanno mai avuto problemi fiscali con molte ingenti somme versate all’erario, avrebbero frodato il fisco per dare danaro a Scarano in opere di beneficenza. In primo grado i giudici si erano limitati ad affermare la sufficienza della “prova logica” non l’accertamento del reato presupposto. Secondo la procura della Repubblica c’era la opaca tracciabilità dei titoli come, ad esempio, quello di 60.000 euro pagati per restaurare il sarcofago di Papa Gregorio VII finanziato con denaro del cavaliere Antonio D’Amico che, secondo l’accusa, gestiva i fondi di beneficenza utilizzando la cassaforte vaticana di Scarano per riciclare fondi di dubbi provenienza dall’estero. Il Vaticano per disposizione e volontà precisa di Papa Francesco aveva avviato una sorta di revisione della documentazione contenente i presunti reati contestati a Monsignor Scarano. Tant’è che aveva incaricato una nota società di consulenza americana Promontory per la produzione di un report di analisi di tutti i documenti contabili prodotti da Scarano non solo quelli oggetti del processo. L’analisi della società americana portò ad escludere eventuali reati commessi da Scarano nell’esercizio delle sue funzioni di contabile dell’Aspa. Questa circostanza tutt’altro che secondaria risulta decisiva per il riconoscimento del lavoro di Scarano ma non è mai entrata tra i giudici salernitani. Scarano ha già scontato una sorta di pena anticipata con un duro regime carcerario e restrizioni alla sua libertà, con successivi arresti domiciliari e il parallelo monitoraggio costante della sua vita perfino con costose intercettazioni telefoniche e ambientali disposte dalla procura prospettando una capacità delittuosa dell’imputato utilizzando la perniciosa attitudine inquisitoria nazionale delle indagini “buco della serratura”. Che accontentò solo la voglia di sputtanamento della città che si vendicava del monsignore della banca romana con il prezioso aiuto di inquirenti e investigatori, Un caso tipico da studiare nella giustizia negata del Belpaese.

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