Scafati. Speciale allagamenti: le responsabilità, e il dibattito sul canale Conte Sarno - Le Cronache
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Scafati. Speciale allagamenti: le responsabilità, e il dibattito sul canale Conte Sarno

Scafati. Speciale allagamenti: le responsabilità, e il dibattito sul canale Conte Sarno

Di Adriano Falanga

Allagamenti a Scafati, è scontro sulle possibili soluzioni per evitare che la città finisca sommersa ad ogni pioggia. Un dato però è certo ed accomuna tutti: il fenomeno si è accentuato dopo la chiusura del canale Conte Sarno. Chiaramente, anche la cementificazione selvaggia e incontrollata ha contribuito in maniera non indifferente. Si è costruito sui canali naturali, le città si sono espanse ma i sottoservizi e le infrastrutture, come la rete fognaria, è rimasta quella di una trentina di anni fa, e oggi si presenta sottodimensionata, incapace di accogliere e smaltire le masse d’acqua dalla superficie. Complice anche la scarsa manutenzione di quel poco che rimane, e un necessario dragaggio dei canali del Sarno, che con il tempo e l’incuria hanno perso gran parte della loro portata. E Scafati era chiamata la piccola Venezia perché divisa in più tronconi dal fiume Sarno e dai suoi canali, non certo perché era sommersa dall’acqua, come oggi. Le alluvioni erano certamente possibili, ma poco frequenti e vedere il centro città finire sotto mezzo metro di acqua era un caso eccezionale, quasi sempre conseguenza di piogge incessanti e abbondanti. Oggi il fenomeno è diventato routine, segno evidente di una città urbanisticamente al collasso, e anche mezz’ora di pioggia intensa è capace di mettere l’intera città in ginocchio. Tutto questo naturalmente comporta danni alle colture, al manto stradale, alle cantine, ai negozi, alle auto, ed ogni volta diventa un gioco forza per intere famiglie poter lasciare il proprio appartamento.

3 scafati allagamenti 3 Certo è che le responsabilità affondano negli anni e sono equamente divise tra le amministrazioni comunali che si sono succedute, colpevoli di non aver mai scelto politiche urbanistiche rivolte verso il rispetto e la tutela dell’ambiente, tenendo conto delle difficoltà idrogeologiche, e non risulta, ad oggi, nessuna politica comunale di incentivo a costruire secondo questi criteri. Pasquale Aliberti si sfoga, la sua soluzione del problema sta nel completamento della rete fognaria. “La realizzazione della rete fognaria è un dato di fatto. Opera da 37 milioni di euro già partita. Tempi? Almeno 18 mesi. Altre due stagioni di piogge prima di avere dei notevoli miglioramenti e un’opera di urbanizzazione colossale”. Responsabilità amministrative non vuole averne il primo cittadino, è un tema che va oltre le competenze dell’ente locale, a suo dire. “Cosa avrei dovuto fare di più per fermare le acque che arrivano dai paesi vesuviani? Sicuramente avviare la realizzazione della opera di dragaggio del progetto Grande Sarno che prevede anche vasche di esondazione – continua Aliberti – Dopo aver ottenuto il finanziamento di 210 milioni di euro la maggioranza dei sindaci e degli ambientalisti si è opposta al Tar e al Consiglio di Stato. Unico comune a difendere il progetto davanti al Tribunale Amministrativo è stato Scafati. Ho fatto più delle mie competenze e i cittadini che davvero hanno seguito la problematica sanno bene del grande lavoro che abbiamo fatto anche per modificare il progetto iniziale della rete fognaria che va avanti spedito”.

CANALE CONTE SARNO: i pro

Nato nel 1593 quando il conte di Sarno Muzio Tuttavilla decise di portarvi le acque del fiume omonimo, al fine di sfruttarle per la macinazione delle farine e la produzione delle paste alimentari, il canale Conte Sarno è stato chiuso una ventina di anni fa quando, a seguito di lavori per il suo ampliamento, ci si è accorti che questi poteva creare problemi all’area archeologica di Pompei. Da allora, complice la cementificazione urbana, il fenomeno degli allagamenti è degenerato. A Scafati sono in molti a chiederne la sua riapertura, diverse le raccolte firme ad opera di comitati di cittadini. Non mancano anche esponenti istituzionali, come il consigliere di maggioranza Mimmo Casciello e il presidente del Consiglio Comunale Pasquale Coppola. “Per centinaia di anni il Conte Sarno ha svolto egregiamente il suo compito, non vedo perché oggi non potrebbe essere riutilizzato”, spiega Coppola. E del resto, anche i progettisti della nuova rete fognaria lo hanno suggerito nella loro relazione. “Il riutilizzo del canale Conte Sarno risolverebbe gran parte dei problemi di raccolta e smaltimento delle acqua meteoritiche si legge nel documento –  esso infatti raccoglierebbe tutti i contributi meteorici prodotti dal territorio che, in destra, è situato a monte di Scafati, convogliandoli direttamente a mare senza aggravare il sistema di drenaggio scafatese che, come risulta anche da esperienze e da calcoli idrologici e idraulici eseguiti, è sovraccarico ben al di là delle proprie possibilità di smaltimento”.

FERRARA: Conte Sarno, una chimera, comuni responsabili di non aver investito in politiche ambientali

Carmine Ferrara“Leggo da più parti, come ad ogni occasione di allagamento, il solito refrain del riutilizzo del Canale Conte Sarno. Premesso che un limitato riutilizzo di un tratto finale di circa 800 metri è previsto dal Grande Progetto “Completamento della riqualificazione e recupero del fiume Sarno”, detto erroneamente “Grande Sarno” (come completamento della seconda foce), la sbandierata “rifunzionalizzazione idraulica” di tutto il Canale Conte Sarno si presenta come una pericolosa chimera”. Carmine Ferrara, presidente dell’associazione Amici del Sarno, è certamente uno dei maggiori esperti e conoscitori del corso d’acqua che da risorsa è diventato un problema ambientale e sanitario per i territori che attraversa. “Innanzitutto il Canale Conte Sarno non ha mai svolto la funzione di grondaia del Vesuvio, come da più parti leggo, essendo stato realizzato per fornire energia idraulica ai mulini di Torre Annunziata, e svolgendo un residuo ruolo irriguo. La disastrosa cementificazione dello stesso canale, avvenuta tra il 1981 ed il 1995 ha solo sventrato un lungo tratto del nostro territorio da Sarno a Pompei, con enorme spreco di danaro pubblico, circa 140 miliardi di vecchie lire, per realizzare uno scatolare di cemento armato, ormai totalmente deteriorato e costruito con criteri che oggi non sono a norma. Per cui spiega ancora Ferrara –  in caso di rifunzionalizzazione, andrebbe totalmente rifatto, dopo aver, naturalmente, scavato il vecchio defunto, consistente in molte centinaia di migliaia di metri cubi di cemento armato contaminato, difficilmente smaltibile, insomma un’opera dai costi immensi dai tempi di realizzazione ultradecennali, che non può avere tifosi se non nei sostenitori della filosofia delle Grandi opere”. Ma non sempre è tutta colpa della Regione, secondo Ferrara. “Mi chiedo come mai molti Comuni scaricano ogni responsabilità sulla Regione, che pur ne ha, essendo l’Ente preposto alla realizzazione di progetti inerenti la mitigazione del rischio idraulico, ma non si impegnano, come accade altrove, a fare quanto di propria competenza in materia di allagamenti”. Esistono soluzioni definitive, adottate dagli enti che usano tecniche più avanzate e sostenibili. “Il Grande Progetto Sarno, sia ben chiaro, da solo, anche se fosse realizzato, non risolverà tutti i problemi di allagamento del comparti medio Sarno e foce Sarno, non essendo stato progettato per mitigare il anche il rischio idraulico proveniente dal versante orientale del Vesuvio e, a parte il Comune di Poggiomarino, che io sappia, che ha adottato un minimo di regole per la mitigazione del rischio idraulico, molti altri enti sono totalmente inerti in materia”. I Comuni hanno delle loro colpe: “sarebbe opportuno inserire nei PUC l’obbligo di realizzazione di parcheggi drenanti per le nuove costruzioni, la realizzazione di serbatoi di accumulo di acqua piovana per uso industriale ed agricolo, la realizzazione di fasce tampone boscate ai lati di fiume e canali (lì dove è possibile) con duplice funzione di depurazione delle acque piovane (fitodepurazione) che ruscellano nei fiumi, e l’incentivazione di tetti inverditi, con funzione di isolamento termico e ritenzione di acque zenitali. Insomma, proprio a causa di questa cultura dello scarica barile e per lo sbandieramento di “soluzioni miracolose” che ci troviamo in ritardo di oltre quarant’anni per la soluzione dei problemi inerenti il rischio idrogeologico” aggiunge Carmine Ferrara. Politiche ambientali, queste sconosciute. Del resto Scafati ha speso oltre 40 milioni di euro di fondi europei per la riqualificazione urbana, ma non ha investito un solo euro nell’adeguamento sismico delle strutture pubbliche e nella prevenzione del rischio idrogeologico. “Aggiungo che queste proposte da realizzare localmente darebbero lavoro a professionisti e manovalanza locale, cosa praticamente impossibile con le grandi opere”. Ed infatti, l’unica azienda scafatese impegnata nel Piu Europa era la Tyche srl, che doveva realizzare il Polo Scolastico. Doveva, perché il resto è storia nota