
Olga Chieffi
Non c’è un santo più fortemente radicato nella tradizione popolare e tra le genti contadine come il Sant’Antonio Abate che si festeggia oggi e presenta, in tutti i luoghi, elementi comuni come i falò, le tradizioni alimentari, la benedizioni degli animali e l’ uccisione del porco rituale. Sant’Antuono ha il patronato su tutti gli animali. In realtà questa caratteristica è data al Santo solo dalla tradizione popolare. La tradizione di benedire gli animali non è legata direttamente a sant’Antonio, nasce nel Medioevo in terra tedesca, quando era consuetudine che ogni villaggio allevasse un maiale da destinare all’ospedale, dove prestavano il loro servizio i monaci di sant’Antonio. A partire dall’XI secolo gli abitanti delle città si lamentavano della presenza di maiali che pascolavano liberamente nelle vie e i Comuni s’incaricarono allora di vietarne la circolazione ma fatta sempre salva l’integrità fisica dei suini “di proprietà degli Antoniani, che ne ricavavano cibo per i malati, balsami per le piaghe, nonché sostentamento economico. Una credenza molto antica, che troviamo già nel Boccaccio, nel suo Decamerone, ove fa dire a Frà Cipolla “Acciò che il beato santo Antonio vi si guardia de’ buoi e degli asini e de’ porci e delle pecore vostre….”. Ma ancora una volta sono gli stornelli e i canti popolari a riproporci l’antico tema del Santo protettore delle bestie domestiche: “…e se hai una gallina l’anno prossimo ne avrai una sessantina, e se hai un porcellino per l’anno prossimo un mucchietto, e se tieni una pecorella, per l’anno prossimo un mucchio…”. Non si può dimenticare poi l’usanza di affiggere, sull’ingresso delle stalle o dei dormitori degli animali, immagini e santini raffiguranti il santo raffigurato circondato da animali e con il fuoco in mano. A queste forme fortemente “cristiane” si associano poi le formule magico apotropaiche per guarire gli animali, come nel caso di un antico rituale che parla di collocare su un piatto due chiavi incrociate, una maschio e una femmina, e di ripetere per tre volte “Sante Crismale medichè lu cape, sante Siste mèdiche Gesù Criste, Sant’Antuone mèdiche buone, mèdiche quella vena, che tanta guerre mena”. All’iconografia di Sant’Antonio Abate, patrono dei ceramisti, si ispira la mostra “Io sono fuoco”, che verrà inaugurata questo pomeriggio, intorno, alle 18,45, nel comune di Vietri, subito dopo la Santa Messa e il panegirico nella Chiesa di San Giovanni Battista con una Santa Messa in suffragio dei ceramisti defunti, celebrata da don Mario Masullo. Ventotto le opere rappresentate da maestri e giovani ceramisti vietresi, scelte dal curatore Vito Pinto ha voluto ripercorrere innovandola l’antica tradizione delle edicole votive. Cer. Annarita, Salvatore Autuori, Lucia Carpentieri, Vincenzo Consalvo, Antonio D’Acunto, Valerio D’Alessio, Angela D’Arienzo, Elisabetta D’Arienzo, Mara D’Arienzo, Vincenzo Fasano, Annachiara Granato, Antonio Iovine, Domenico, Giovanni, Irene, Lucio e Pasquale Liguori, Danilo Mariani, Laura Marmai, Tiziano Massimino, Alessandro Mautone, Fabio Mosca, Francesco Raimondi, Tamara Rossetti, Teresa Salsano, Antonio e Giancarlo Solimene e Gianluca Tesauro, sono i protagonisti di questa ripresa della tradizione, che ci riporta indietro a quando l’unico bene della famiglia era la salute e l’animale, che diverse volte risiedeva nella casa stessa e in tutte le case, le stalle, gli ovili, si poneva l’immagine di Sant’Antuono, coi suoi simboli, la campanella del pellegrino, il porco, il fuoco, una riggiola, un’edicola votiva, un’acquasantiera, in ceramica. Una festa del fuoco e dell’arte, questa, che prelude all’imminente primavera, in cui si ricreerà il mito dionisiaco, attraverso il ritmo estatico delle percussioni e degli strumenti dei MusicaStoria, su cui intrecceranno carole i danzatori. Una festa in cui la cosa creata nasce da un’occhiata esaltante sulla vita, su un pezzo di vita che si vuole fermare, coincidente con l’esplosione della gioia di vivere, profondamente legata alle misteriose forze telluriche e cosmiche che regolano il ciclo vitale della natura. All’aprirsi dei forni, simili a piccoli atanor dalle pareti vivificatrici, che vedranno sul piazzale della vecchia stazione di Vietri che ha da essere recuperata, dopo la suggestiva benedizione del fuoco in concomitanza con l’accensione di una scultura in cartapesta che rappresenta la Sirena di Irene Kowaliska, della ceramista Elisabetta D’Arienzo, tra cottura primitiva e raku, ammireremo la creazione, la stranezza, di intelligenze divinamente e infinitamente mescolate, che non opporranno alcun ostacolo a folgoranti identificazioni. Nell’immaginario degli artisti il mitologico e l’onirico reagiscono in un’alchimia che trova il suo giusto mezzo nel fuoco che trasforma la terra e il colore, nell’oggetto stralunato e irriverente, quasi una caricatura di quanto secoli di dogmatismo hanno finito per irrigidire e ridurre all’ordine razionale. Burlandosi della propria natura l’oggetto manu-fatto sfiderà attraverso una sorta di equilibrismo o acrobazia verbale le leggi della fisica, liberandosi da residui di utilitarismo e da incrostazioni di intellettualismo. A loro modo, il sogno degli artisti libererà dalla terra il mostro dell’immaginazione che per secoli è rimasto imprigionato e lo restituirà al gioco e, conseguentemente, al rischio che ad esso è imprescindibilmente connaturato. Ma se noi, forse, vedremo strano è perché siamo lontani dalla Physis e dall’initium, immagini a cui solo gli artisti sono vicini. Loro è il movimento primordiale, senza fine ricorrente, dell’Uomo, del principio, che questa sera dovremo riscoprire insieme con nuova meraviglia, se vogliamo, in futuro, levare la nostra lampada e far luce. Ma se a Vietri il comune guidato da Giovanni de Simone con il suo giovane assessore Daniele Benincasa, accoglierà quanti vorranno partecipare a questa splendida festa, qui a Salerno, i riti torneranno nel suo centro storico più carico di storia, nelle Fornelle, per la benedizione degli animali, fissata per le 19,30, per quindi trasferirsi a Giovi, nella storica chiesa di San Bartolomeo, dove l’associazione Amicus del maestro Gerardo Avossa Sapere, in una serata che inizierà alle ore 18,30, dedicata a Rosa Avossa, sua madre, riunirà tutti attorno alla vampa, con la musica delle Sound Ladies dirette dal Maestro Angelo Russo, mentre la celebrazione della messa con la benedizione degli animali, sarà animata dal coro Ultrajoyed, diretto dal maestro Sergio Avallone, che apre l’anno dei riti religiosi dopo il Natale. E’ questo il momento della rinascita e la riscoperta di se stessi che non può che partire dalle proprie radici. Solo coi piedi ben piantati a terra – quella che ci appartiene – possiamo far crescere i nostri personalissimi rami. I racconti tramandatici, le sfide di chi è lontano e ricorda, frammenti che si trasformano in scintille, i passi di chi adesso comincia a muoversi per il mondo o riprende un’azione interrotta, impreziosita e incendiata da nuovo ingegno e amore, Storie che, a guardarle bene, ci accomunano tutti, in un unico grande ciclo, che incessantemente si ripete.