La festa in onore di Sant’Antonio Abate è un rito che si è sempre rinnovata ogni anno in questa giornata, e la cui origine, persa ormai nella notte dei tempi, affonda le sue radici tra il sacro e il profano. Anche a Vibonati, che ospita le sacre reliquie del Santo, annullata processione e celebrazioni in streaming, causa aumento dei contagi nel comune sia nella frazione marina di Villammare
Di Olga Chieffi
Solo lo scorso gennaio, intorno ai fuochi benedetti in onore di Sant’Antonio Abate si celebrava il ritorno alla luce, tanta allegria, musica, vino e gastronomia per una tradizione che ha sempre infiammato letteralmente l’inverno. Il culto del santo egiziano, protettore degli animali, è molto legato alla tradizione contadina in questi piccoli borghi. Un rito religioso che presenta dei tratti pagani, legato a un periodo dell’anno dedicato da sempre al culto della famiglia e al riposo dal lavoro contadino, che prima si passava davanti al fuoco di un camino o di una stufetta, di quelle economiche e smaltate di bianco. Un atto di devozione con cui la popolazione affidava la custodia e la protezione di quanto avevano di più prezioso: la perdita di quegli animali, infatti, avrebbe potuto comportare per quelle economie fondate sulla sussistenza la rovina, il rischio concreto di andare incontro a lunghi periodi di stenti. Antonio era un eremita nato a Koma in Egitto nel 251 e morto in un convento nei pressi del Mar Rosso nel 356. Di lui si ha una biografia redatta da un monaco dello stesso Convento, Atanasio, nella quale Sant’Antonio tutto appare fuorché protettore degli animali domestici, considerati dal Santo eremita addirittura creature del demonio, che inducono in tentazione. Sant’Antonio diventa una specie di Signore degli animali in base ad un episodio agiografico. Alla fine dell’XI secolo le reliquie del Santo erano state trasferite in Francia nella diocesi di Vienne (e precisamente in una cittadina che ancora oggi si chiama Bourg Saint’Antoine) da un nobile pellegrino, Gastone. Nel 1297 nacque l’ordine questuante degli Antoniani, il quale richiamandosi alla regola di Sant’Agostino si diffuse in seguito per tutta l’Europa. Una singolare specializzazione terapeutica degli Antoniani era quella di curare l’ergotismo canceroso, detto “ignis sacer” o fuoco di Sant’Antonio, mediante il grasso di maiale misto ad alcune erbe. Questa terribile malattia, che “divorava come il fuoco” soprattutto gli arti inferiori, destinati perciò spesso all’amputazione, era causata da un fungo che si sviluppava nella farina di segale cornuta, largamente impiegata nel basso medioevo dai ceti rurali ed indigenti per confezionare il loro pane quotidiano. Sicché le comunità rurali provvedevano ad allevare i maiali, fornendo agli Antoniani il prezioso grasso con cui i frati curavano l’ergotismo, all’epoca epidemico, Cominciarono a diffondersi le prime immagini che raffigurano sant’Antonio con un porcellino ai suoi piedi e che, ancora nel XVII secolo, creavano non lieve imbarazzo ai teologi della chiesa di Roma, i quali non riuscivano a spiegarne i motivi. S.Antuono segna nel calendario popolare, anche il principio del Carnevale, ovvero di quel periodo rituale, circoscritto nel tempo, durante il quale si forma una comunità metastorica a carattere provvisorio, che vive un aspetto di ribellione alla propria condizione sociale, riflettendo aspetti rituali arcaici, legati nel passato a rituali agricoli di propiziazione del raccolto e di eliminazione del male. In Salerno, associando la presenza del maiale accosto al santo, si dice : “S’è ‘nnammurato d’’o porco”. Nella nostra città, Sant’Antuono si venera nella chiesetta di Santa Rita, oggi, San Pietro a Corte, tradizionalmente detto di Sant’Antuono, innanzi al vecchio municipio, chiamato Palazzo Sant’Antuono. Nella stessa piazzetta, ogni anno si procedeva alla benedizione degli animali, che oggi, purtroppo non verrà svolta. S.Antuono è ritenuto anche il patrono del fuoco. Pare che egli sia disceso all’Inferno, dal quale ha tratto un po’ di fuoco di nascosto del diavolo, novello Prometeo, per cui, la notte del 17, in sua venerazione si accendono grossi falò, la lunga notte dei Vampalori, con spari di mortaretti e suoni attorno ai quali si danza intrecciando tarantelle e per essere fedeli all’antica tradizione campana, evocando versi animaleschi, gustando le specialità campane, il vino le salsicce e le patate sotto la cenere. Uno dei paesi in cui il culto di Sant’Antonio non ha perso il suo antico smalto è Vibonati, di cui Sant’Antonio Abate è il patrono, anche perché ne conserva le sacre reliquie. Il covid, che purtroppo ha colpito pesantemente il paese non ha permesso di svolgere con serenità tutta la santa Novena, né permetterà oggi la Benedizione degli animali. Il parroco Don Martino Romano non ha certo lasciato il suo gregge, aumentando le celebrazioni e aprendo la chiesa per dar modo di inginocchiarsi dinanzi al Santo Patrono per cinque minuti. Nella celebrazione di ieri infatti, il parroco dopo aver benedetto la popolazione esibendo le sacre reliquie, e arrampicandosi pericolosamente sul muretto dinanzi la chiesa, allargando lo sguardo per la valle, fino al mare ha richiamato tutti all’ordine e alla consapevolezza e che per la festa dovremo tutti attendere altri tempi. Intanto ognuno di noi potrà partecipare attivamente dalle proprie case accendendo un cero sui vostri davanzali insieme alla recita della preghiera a Sant’Antonio e di condividendo una foto sui social con l’hashtag #unalucepersantantonio.