Cambiare il verso della narrazione culturale di sinistra in direzione di un riequilibrio culturale che riconosca quel “pensiero di destra forte e autorevole” che, a sua detta, “la sinistra ha sempre voluto nascondere”. Con questa mission Gennaro Sangiuliano, il 62enne giornalista, ex direttore del quotidiano Roma di Napoli e poi del Tg2, saggista, è entrato a fine 2022 nei saloni del Collegio Romano per ricoprire l’incarico di ministro della Cultura nel governo Meloni. Appena nominato la prima visita ufficiale che ha fatto, racconta, è stata alla Sinagoga di Roma, dove si è imposto uno dei punti che vorrebbe qualificasse il suo mandato: la costruzione di un grande museo della Shoah nella Capitale, “città simbolo delle persecuzioni” ma unica grande città in cui manca un posto in cui coltivare la memoria. La seconda, ha raccontato nella sua prima uscita televisiva da ministro, ospite di Bruno Vespa, è stata nell’abitazione di Benedetto Croce. Il filosofo rientra infatti a pieno titolo nel Pantheon di Sangiuliano in cui trovano spazio di culto assoluto pochi altri intellettuali: tra questi, in particolare, lo storico Federico Chabod e l’idea di nazione che il ministro, al pari della sua simpatia per Giuseppe Prezzolini, ama citare in quasi ogni suo intervento. Al punto che in occasione dell’esame di maturità dello scorso anno confessò che se fosse stato studente sarebbe stato dilaniato dalla possibilità di scegliere la traccia su Chabod o quella su Oriana Fallaci, altra sua figura cardine nel campo del giornalismo e della scrittura. Peccato che proprio l’amore per Fallaci gli è costato uno tra i primi inciampi della sua carriera, quando bacchettando la Rai annunciò che avrebbe chiesto alla tv pubblica di fare una fiction sulla vita della scrittrice (o su Indro Montanelli), senza sapere che neppure tanto tempo prima la tv di stato ne aveva appena mandata una in onda, con Vittoria Puccini protagonista. Così come erano già usciti di recente film su D’Annunzio o Pirandello, altri due autori presi ad esempio dal ministro per spiegare la necessità di rompere, come direbbe Marcello Veneziani, quella ‘cappa’ dell’egemonia culturale della sinistra. Tralasciando gli inciampi e le gaffe che hanno caratterizzato i suoi primi due anni di incarico, dal botta e risposta con Geppi Cucciari sui libri dello Strega non letti alle teorie di Galilei alla base della scoperta dell’America, fino a Times Square collocata a Londra, la tendenza del ministro a riconsiderare teorie e fatti storici erano stati evidenti da subito, quando in occasione di una convention di FdI del 2023 aveva affermato che Dante Alighieri era “il fondatore del pensiero conservatore italiano”. Come giornalista ha fatto scalpore anche la sua (in)disposizione nei confronti dei cronisti: il suo motto è “le domande le faccio io”. Al punto che la redazione di Rainews 24 nei mesi scorsi si era lamentata di una presunta telefonata in cui il ministro si sarebbe infuriato per alcune “domande inappropriate” e non gradite da parte di cronisti dei Tg regionali. La sua tenacia l’ha dimostrata anche nella sua battaglia nei tg Rai per poter usare l’espressione ‘massacro comunista di Tito’ ed è rimasta negli archivi video anche la sua reazione nei confronti dei giornalisti che gli hanno chiesto di definirsi antifascista: con uno scatto a sorpresa aveva rubato il microfono e urlato “Io sono antifascista. Ma voi siete anticomunisti?”.
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