De Luca il giorno dopo è l’unico ad esprimersi. Dalla Curia, il Vescovo, infatti, resta in silenzio mentre l’Italia intera parla di ciò che è avvenuto a Salerno il 21 settembre. Vincenzo De Luca impone nuovamente la «sobrietà», parla di «amplificazione di piccoli episodi» (seppur è avvenuto di tutto durante la processione completamente nelle mani dei portatori), ed «invita ad una riflessione serena». Proprio lui che per ripicca, per il secondo anno ha affidato la fascia tricolore al suo vice Eva Avossa che timidamente ha condotto il parterre d’autorità dietro al Gonfalone. Lui che se fosse stato presente nel quadriportico del Duomo avrebbe evitato le prime scintille tra portatori e Vescovo. Ed, invece, nonostante gli appelli della vigilia è stato proprio il sindaco che disattendendo le disposizioni della Curia, ha fatto trovare il portone di Palazzo di Città aperto, con vigili a guardia e con le transenne provvisoriamente scostate dal pericolante scalone d’ingresso. I portatori l’aveva incontrati già ad inizio agosto quando erano state rese pubbliche le norme della nuova processione. Lì in quella sede il primo cittadino aveva mosso dure accuse all’arcivescovo per il mancato passaggio di San Matteo al Comune. Sempre in quella sede, alla presenza dei capiparanza aveva annunciato la sospensione di ogni iniziativa civile (fuochi compresi) durante la festa patronale. De Luca, però, oggi, «esprime solidarietà al Vescovo», nonostante la guerra da Peppone e don Camillo consumatasi, poi, con l’annullamento dell’atteso spettacolo pirotecnico. Sempre il sindaco di Salerno, infine si dice «convinto che rapidamente sarà recuperato un clima di unità e solidarietà nella nostra comunità». Ma la frattura sembrerebbe alquanto insanabile, perché dietro l’assurda processione di San Matteo ci sarebbero motivazioni politiche, di tradizione, di identità e di puro spettacolo. E perché no anche legate a manovre interne alla stessa Curia salernitana. Partendo dal cuore del clero, Monsignor Moretti prima ancora di essere stato isolato, deriso ed anche umiliato dalla folla, pare che sia stato quantomeno mal consigliato dai suoi. A partire da don Antonio Quaranta che domenica mattina avrebbe acceso la prima miccia non conservando il posto al sindaco di Salerno. Una prima sfida, come quelle che lancia continuamente al popolo del centro storico, ormai lontano da tempo dai banchi della Cattedrale. C’è chi racconta, infatti, di domeniche solitarie durante le celebrazioni eucaristiche. Troppa rigidità o poca volontà di ascolto avrebbero portato don Antonio Quaranta ad essere distante dalla gente, nonostante sia a capo del Duomo cittadino. C’è poi l’altra parte del clero, quello che ha dovuto subire l’imposizione di Moretti, dopo la gestione Pierro. Dai valzer dei parroci fino ad arrivare ai dazi sempre più elevati che parrocchie e confraternite devono elargire nei confronti della casa madre, passando anche per le “tasse sui matrimoni”. Fondamentalmente don Luigi Zoccola (già parroco di San Felice) aveva centrato il problema fin dai primi istanti della processione: «E’ colpa anche dei collaboratori di Moretti». E tra questi l’eminenza grigia per eccellenza: don Comincio Lanzara, per alcuni «fuori dai giochi», per altri (molti) pontone, invece, con il potere politico di questa città. Ma la diplomazia non ha funzionato, con una situazione sfuggita di mano a tutti. Compreso al sindaco De Luca, che pur ancora oggi non motivando la sua assenza al corteo dei Santi, altro non ha fatto che affermare un potere forte rinchiuso tra le mura del centro storico che ben poco serve nella restante parte della città o della provincia.
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