Salerno, l’incendio del colle Bonadies ha avuto origini dolose - Le Cronache Salerno
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Salerno, l’incendio del colle Bonadies ha avuto origini dolose

Salerno, l’incendio del colle Bonadies ha avuto origini dolose

E’ stato scritto, su diversi mezzi di informazione, che l’incendio del colle Bonadies ha avuto origini dolose, con inneschi in più punti. Quindi, una volontà precisa ha causato la devastazione di cinque/sei ettari di pino d’aleppo e di macchia mediterranea, secondo i numeri dichiarati. In sostanza, se qualcuno parla ancora di accertamenti in corso, non significa che non si conosca l’origine delle fiamme, ma solo che si è alla ricerca dei responsabili, ammesso che si riesca a individuarli. Le foto dimostrano le conseguenze di un gesto vigliacco compiuto nel buio delle tenebre. Un gesto vigliacco come lo sono quelli dei traditori che colpiscono alle spalle. Ce ne sono in ogni campo, purtroppo. Menti malate, più che deviate, hanno distrutto un’area verde che, con la sua posizione, offriva ossigeno a tutta la Città e, in particolare, alla zona storica e a quella portuale. In queste ultime, infatti, l’attività umana ha travalicato ogni limite di rispetto per la natura e l’ambiente, costringendo i poveri cittadini a respirare fumi, polveri e inquinanti di vario genere, tra cui lo zolfo è certamente ai primi posti per quantità e conseguenze sulla salute. Contro questi dannati veleni, quel triangolo di verde assicurava un recupero, sia pure minimo. Adesso, diffonde la sua stessa morte. Il verde del colle Bonadies, e di tutte le colline, fu voluto dal Sindaco Menna. Poi, altri interventi di manutenzione avevano consentito di proteggere la corona verde a beneficio della Città. Adesso, purtroppo, lo sbancamento in atto del colle Taborre sta profondamente alterando la conformazione dei luoghi secondo un progetto, neppure noto, che troverà il suo culmine nella nuova viabilità per l’area del Cernicchiara. L’incendio ha ‘velocizzato’ l’opera. Ci vorranno almeno venti anni perché altri alberi possano sostituire quelli bruciati del tutto. Quelli solo lambiti dalle fiamme, potrebbero recuperare in minor tempo, ma sempre nel giro di diversi anni. Al riguardo, gli esperti dicono che l’aggressione del fuoco alle piante resinose non si limita alle chiome o ai tronchi, ma scende nella terra, fino alle radici, con fumarole che continuano anche per più giorni dopo lo spegnimento. Dicono, poi, che le pigne hanno una resistenza ben superiore, come è noto a chi, d’inverno, tenta di aprirle vicino al camino. E, spiegano, che una volta caduta al suolo, la pigna protegge i semi per lungo tempo rilasciandoli dopo mesi per ricolonizzare l’area. C’è chi pensa, addirittura, che l’evoluzione della natura abbia ‘indotto’ i pini ad adottare una modalità di resistenza passiva, rispetto al fuoco, per sopravvivere nei secoli a danno di specie che, se incendiate, muoiono definitivamente. Ragionamento estremo, ma nessuno può dire che non abbia una qualche credibilità. Del resto, esperimenti precisi e di alta specializzazione hanno dimostrato che le piante respirano, come noi, ascoltano, come noi, e hanno paura, come noi. Perché vivono, proprio come noi. Chi le incendia, le uccide, come potrebbe fare con un qualsiasi essere umano. Ciò posto, non è chiaro il disegno perverso di chi, con azione definita dolosa, ha appiccato il fuoco. Forse, voleva godere dello spettacolo, come Nerone. O, forse, voleva liberare dagli alberi la parte al di sopra di via de’ Renzi in vista di qualche ipotetico vantaggio una volta decorsi i canonici dieci anni previsti dalla Legge. Del resto, lì c’è già uno scheletro di fabbricato, da tempo immemore, che potrebbe essere il riferimento di una nuova area di trasformazione urbana. Una domanda: “perché non è stato ancora abbattuto”? In ogni caso, è innegabile che, a parte la distruzione di centinaia di piante, a parte la mancata produzione di ossigeno per tanti anni futuri, a parte lo scempio del paesaggio, il danno maggiore è stato arrecato a tutti i cittadini, dai quali questi brutali ‘assassini’ non possono attendersi benedizioni. Nei confronti di chiunque avesse agito, è giustificabile solo la pronuncia di una maledizione, per quanto questa Città sia abituata a far passare tutto ‘in cavalleria’, come si dice. Perché, nella generale indifferenza, anche senza incendi, sono state distrutte tante altre aree verdi, tanti spazi pubblici sono diventati privati, tante spiagge sono state sottratte all’uso libero, come sembra si voglia ancora fare per Capitolo San Matteo con il Polo della Nautica che toglierebbe l’ultimo tratto di costa a disposizione dei cittadini. Con i soldi di un progetto multi-milionario che, solo per il molo a mare, richiederebbe almeno 20milioni di euro, si potrebbe bonificare l’area e il mare a favore di chi non ha la barca per fare il bagno al largo, in acque pulite, e non merita, per questo, di essere costretto a farlo tra la melma, se va bene. Senza dire della cementificazione della spiaggia per centinaia di metri. Bizzarrie inspiegabili, per una Città in Pre-dissesto che deve ritornare a progettare a misura dei cittadini e che nel loro interesse deve essere amministrata. In tal senso, l’incendio del colle potrebbe anche essere una opportunità. Ai confini dei lati del triangolo che racchiudeva la Città di Arechi, con base a mare e vertice sulla sommità, dove c’è il Castello, correvano le mura di difesa visibili su molte riproduzione dei tempi antichi. Forse, aprendo un agevole percorso pedonale da via de’ Renzi, si potrebbe procedere alla loro valorizzazione, creando corridoi di protezione per visite da parte degli studiosi, dei visitatori e anche di quei cittadini che dovessero ignorarne la presenza. Giù in passato, un progetto fu proposto, senza fortuna. Sarebbe da recuperare non come ipotesi di discussione, tanto per dire qualcosa, ma come concreta partenza di un rinnovato interesse per il valore della cultura e della storia. Come l’Araba Fenice, Salerno può davvero ripartire dal fuoco distruttivo di vigliacchi, maledetti assassini.

Ali per la Città, Gruppo Civico Futura Salerno, Associazione Civica Salviamo gli Alberi, Gruppo Civico

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