Salerno Classica: Busoni vs Beethoven - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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Salerno Classica: Busoni vs Beethoven

Salerno Classica: Busoni vs Beethoven

Secondo appuntamento, venerdì 20 settembre, alle ore 20, per l’autunno cameristico nel complesso di San Michele, che vede al fianco del direttore artistico Francesco D’Arcangelo la Fondazione Carisal presieduta Domenico Credendino. Due i solisti il clarinettista Giuseppe Cataldi e il pianista Alessandro Marano, con il quartetto d’archi de’ “I Solisti di Cosenza”

 

Di Olga Chieffi

Secondo appuntamento, oggi, alle ore 20, per la rassegna “San Michele in musica”, cinque incontri tra musica, arte e gusto, che nasce dalla consolidata sinergia tra Salerno Classica e la Fondazione Carisal che accompagna da tempo le attività culturali dell’associazione Gestione Musica nel suo progetto sovvenzionato dal MIC e regione Campania legge 6. Da quest’anno la proposta musicale si è arricchita con i cinque appuntamenti cameristici, ospiti della Sala del Cenacolo del “Complesso monumentale San Michele” che accoglie importanti attività di mostre unendo arte e musica. Un cartellone, inaugurato la scorsa settimana dal pianista Antonio Di Cristofano e dall’Ensemble Salerno Classica con il Quartetto n°2 in Si minore op.26 composto da Ferruccio Busoni e il Concerto per pianoforte di Fryderyk Chopin n°2 in Fa minore, partiture entrambe eseguite con una lettura pura, poeticità fortemente espressiva , virtuosismo e romanticità, e che venerdì, ospiterà con due solisti, il pianista Alessandro Marano e il clarinettista Giuseppe Cataldi, impegnati a sviscerare sempre il focus sul romanticismo di Ferruccio Busoni, stavolta a confronto con Ludwig Van Beethoven. Ferruccio Busoni passò alla storia come dei più grandi pianisti di ogni tempo. Il fascino che il clarinetto esercitò, almeno inizialmente, sul compositore si deve a suo padre Ferdinando, che fu a suo tempo un noto clarinettista. L’esecuzione della suite di stasera, rappresenta solo una minima parte di quanto sia stato dedicato al clarinetto, con composizioni in cui ha impiegato delle forme classiche ad un linguaggio cromatico più dilatato fino delle manifestazioni espressioniste. Verrà eseguita la Suite per clarinetto e quartetto d’archi in sol minore K 176 di Ferruccio Busoni – composta nel 1880 – in tre movimenti: Andantino, vivace assai – Vivace e marcato – Moderato che rileva le straordinarie qualità compositive e di scrittura clarinettistica del giovane Busoni. Di chiara ispirazione brahmsiana, i primi due movimenti sono pervasi da un malinconico lirismo, illuminato poi dal brioso e scherzoso Vivace finale. La serata sarà, poi, chiusa con l’esecuzione del terzo concerto per pianoforte e orchestra op. 37 (trascrizione V. Lachner) in Do Minore, di Ludwig Van Beethoven, in dialogo col quartetto d’archi de’ “I Solisti di Cosenza”, composto da Giovanni Perri e Mirko Marcellini al violino, Asia Termine alla viola e Alessandra Ciniglia al cello, in cui ci accorgeremo che il rapporto tra solista e orchestra è ancora improntato al modello del concerto classico, ma le potenzialità del concerto classico bachiano e mozartiano, basate sull’eleganza, l’equilibrio, il virtuosismo, vengono spinte ai limiti estremi, rivoluzionando la concezione stessa del Concerto, che diviene compiutamente sinfonica. Il primo tema consiste nella semplice scansione ascendente della triade di do minore da parte degli archi nel registro grave e si chiude con l’intervallo ripetuto dominante-tonica. Nella sua incisività e severità il tema ha già un respiro sinfonico: tanto più un tema appare scarno, quasi primordiale (e lo vedremo molto bene nel Beethoven sinfonico, dalla terza alla quinta sinfonia, fino alla monumentale nona, il primo tema delle quali è un motivo musicale di disarmante semplicità), tanto più si presta a poderose elaborazioni sinfoniche. Per tali elaborazioni ancora Beethoven non è del tutto pronto nel terzo concerto, tuttavia il genio di Bonn allontana sempre di più il concerto per solista e orchestra da un certo sotterraneo legame che il concerto del settecento aveva con la scena d’opera: al suo ingresso il solista non ha alcuna intenzione di divagare o preludiare, ma si inserisce deciso dentro una architettura pienamente sinfonica. Al primo tema esposto dagli archi segue una risposta dei fiati ed infine il tema risuona nel registro più luminoso dei violini nella tonalità di mi bemolle maggiore. Dopo un ponte modulante ecco il dolcissimo secondo tema in mi bemolle maggiore che passa dal clarinetto agli archi e infine giunge al flauto modulando in un luminosissimo do maggiore, in un effetto di variazioni cromatiche davvero pregevole. Al ritorno del primo tema segue un dolcissimo ribattuto dei legni che ricorda da vicino il terzo tema del primo tempo dell’Eroica (che verrà composta subito dopo). Una sferzata ironica dei violini riconduce alla drammaticità del primo tema che viene ripreso perentorio dall’orchestra piena. Se nei primi due concerti per pianoforte, e generalmente nei concerti settecenteschi per solista e orchestra, il solista evita spesso al suo ingresso di confrontarsi direttamente con il materiale musicale esposto nell’introduzione orchestrale, e preferisce inserirsi con un disteso recitativo, in questo concerto la prima entrata del solista è poderosa e riprende il primo tema con tutto il peso delle doppie ottave, quasi a voler fronteggiare la potenza orchestrale. Tuttavia il momento di maggior fantasia creativa del primo movimento è la coda: dopo una cadenza insolitamente lunga, l’orchestra rientra con il misterioso intervento del timpano, che ripropone la scansione tonica-dominante, apre un crescendo di inaudita intensità drammatica, dove la potenza dinamica dell’orchestra è dispiegata al massimo. Il secondo movimento, è un Largo tripartito, è forse il momento di maggiore di valore del concerto. La tonalità di mi maggiore è assai lontana dalla tonalità del primo movimento (do minore), e così il carattere di oasi lirica di questo momento è maggiormente sottolineato. Il pianoforte inizia solo, meditativo, sembra quasi che improvvisi, che distilli pensoso gli accordi in attesa di una direzione. S’insinua dolcissima l’orchestra con un tema acefalo, in levare, che sembra quasi cadere come un velo sopra gli accordi del pianoforte. É uno dei temi più belli di tutta la produzione beethoveniana e la sua bellezza consiste nella tensione verso l’alto della melodia.Tocca ancora una volta al pianoforte avviare il Rondò finale: movimentato e virtuosistico, ma sostanzialmente ancorato ai climi agitati del modo minore, finché l’impennata cadenzale del pianoforte non lascia esplodere il maggiore di una coda ampia e travolgente.