Di Olga Chieffi
Mario Cavaradossi, il patriota, l’uomo di grande coraggio, l’eroe, il volterriano, l’ateo che a differenza dell’agnostico Puccini rifiuta l’estrema unzione, il Signor tenore della Tosca che chiuderà le celebrazioni del centenario pucciniano dal 6 al 9 novembre, all’Opera di Tirana, avrà la voce di Saimir Pirgu, a lui sarà rivolto il Mario!, Mario! da Krassimira Stoyanova e “Angoscia grande, pronta confessione eviterà! Io vi consiglio, dite…” l’invito dal Barone Carlos Almaguer
Chi è Cavaradossi per lei?
E’ un personaggio che ha molto di me: è l’artista, è un buono, è la passione, è l’amico, è la passione.
Due le arie tra le più intense dell’intero repertorio lirico, le sono assegnate da Puccini in Tosca, non semplici da interpretare e in particolare la scelta della giusta balance per “E lucevan le stelle”, tra disperazione e melanconia, sull’orlo dell’abisso, non lontana dal climax del “Vissi d’arte”. Quali linee seguirà, di concerto con il Maestro Sipari?
Ho sin da subito instaurato un ottimo feeling musicale con il Maestro Sipari. Rimarremo fedeli alla partitura Pucciniana cercando di dare il nostro meglio nel far immergere tutto il pubblico in questo capolavoro musicale senza tempo.
Che emozioni le dà “giocare” sul palcoscenico di casa da dove immagino sia partito?
E’ difficile da spiegare cosa si provi: è quell’emozione a cui nonostante tanti anni di carriera ed esperienza non ci si abitua mai, amplificata dalla responsabilità nonché dalla grande gioia di rendere il più bel regalo al pubblico della propria nazione natale, cantando su un palco da cui ero assente da 13 anni. L’occasione, inoltre, coincide con l’uscita del mio ultimo album che porta il mio nome “Saimir”, edito da Opus Arte, presentato a Vienna pochi giorni fa.
A chi deve la scoperta del suo talento convincendola a vivere di musica?
Sono sempre stato fortemente consapevole dell’importanza che la musica eserciti sulla mia persona e la passione per il canto è sempre stata dentro di me. Sin da piccolissimo ho sempre amato cantare, eseguivo canzoni popolari davanti a piccoli pubblici di amici e conoscenti. C’è da dire anche che in Albania, quando ero in prima elementare, il sistema comunista, ormai agli sgoccioli, seguiva ed incentivata il sistema scolastico albanese attraverso vari corsi musicali come attività extrascolastiche e diverse opportunità di praticare l’arte da parte dei bambini predisposti. Un po’ per scelta e un po’ per imposizione del sistema mi ritrovai a studiare il violino, mi diplomai, ma non smisi mai di cantare. Lo studio dello strumento ha contribuito notevolmente ad accrescere la mia preparazione musicale. La grande svolta è avvenuta quando frequentavo le scuole medie. Come ho spesso affermato, mi ritengo un “prodotto” dei tre tenori. Infatti è grazie a loro che ho intrapreso la strada del canto. Avevo circa 13-14 anni quando mi trovavo ad Elbasan, una piccola città industriale dell’Albania, era da poco finito il comunismo e vidi in TV il famoso concerto dei Tre Tenori da Caracalla. Ne rimasi affascinato. Registrai quel concerto, lo riascoltai infinite volte. Da quel momento decisi che il canto sarebbe diventato la mia vita, e così è stato.
Che peso ha la fortuna per un artista, che qualcuno individua nell’ incontro?
Nella mia vita ha avuto un peso determinate: tutta la mia vita è stata contrassegnata da importanti e fortunati incontri. Luciano Pavarotti, Claudio Abbado, Nikolaus Harnoncourt, Riccardo Muti sono alcuni dei miei primissimi fortunati incontri che hanno dato una direzione ben precisa alla mia vita musicale ed artistica. Tutti grandi Maestri che hanno creduto in me e di cui sono estremamente orgoglioso di aver ricevuto preziosi insegnamenti.
Studi italiani e un maestro su tutti Luciano Pavarotti, ce ne schizza un ricordo?
Era un re, consapevole delle sue qualità e capacità e non soltanto di possedere una magnifica voce, ma anche di essere un uomo dotato di rara intelligenza e di un intuito tali da riuscire a captare subito chi aveva di fronte; un uomo semplice, ma molto acuto e prudente nel valutare qualsiasi situazione. Amava le cose belle, i colori, era molto esigente verso se stesso, ma anche verso gli altri che stavano vicino a lui e così come nel suo canto anche nella vita privata era sempre pronto a dare il massimo di sé. Quando stavo con lui, anche se ero tanto giovane, non ho mai avuto l’impressione di essere un allievo o un ragazzino, avevo l’impressione di essere un amico e questo modo di farti sentire caratterizzava spesso Luciano e il suo gruppo di amici che erano sempre con lui, quando aveva tempo ovviamente.
Oltre Mario Cavaradossi quali ruoli predilige? E quale vorrebbe debuttare?
Tra i ruoli del repertorio operistico a cui sono più legato c’è sicuramente Don José in Carmen che ho debuttato con il Maestro Zubin Mehta e che adesso porto con successo in tanti teatri del mondo e che mi ha dato e continua a darmi tanta soddisfazione. Altri due ruoli molto importanti per me sono Rodolfo in La Bohème e il Duca di Mantova in Rigoletto, ruoli che, tra l’altro, ho recentemente interpretato alla Royal opera House di Londra e alla Staatsoper di Vienna. Sono molto legato anche ai ruoli verdiani come Riccardo in Un Ballo in Maschera, Ernani, Gabriele Adorno in Simon Boccanegra, nonché a tutto il repertorio francese. Mi piacerebbe moltissimo, cantare il Lohengrin di Wagner ed è mia intenzione farlo nel prossimo futuro. È uno dei ruoli che voglio incorporare nel mio repertorio, ma è molto importante che avvenga in condizioni ideali.
Quale esordio, regia, direttore teatro le è più caro?
Ho cantato in tutti i teatri più prestigiosi del mondo e con ogni palcoscenico ho instaurato un rapporto particolare. Dovendo scegliere, e senza offesa per nessun teatro, ne cito due: la Wiener Staatsoper, in cui sono cresciuto e che tengo più a cuore, e la Royal Opera House di Londra dove ho sempre trovato grande organizzazione e professionalità e in cui sin da subito ho percepito che, al suo interno, nulla è mai lasciato al caso, tutto segue una logica ben precisa e soprattutto ogni artista non si sente mai estraneo: dal ruolo di punta al piccolo comprimario tutti ricevono le medesime attenzioni e premure.
Ha esordito al Rof dei grandi per chiamata diretta di colui che ha rivoluzionato la visione interpretativa di Rossini, Alberto Zedda.
Con quanta attenzione ha costruito la sua carriera per salvaguardare il suo incredibile strumento? Dal bel canto a Cavaradossi e il futuro prossimo cosa le riserva?
E’ fondamentale preservare, curare ed assecondare lo sviluppo fisiologico del proprio strumento, adattandolo al repertorio e alle giuste scelte tecniche. La gran parte dello studio di un cantante risiede proprio in tutto ciò. Più le scelte saranno state oculate più lunga sarà la propria carriera e longevità del proprio strumento.
Ho appena terminato una lunga e fortunata serie di recite tra Roméo, Macbeth e La Bohème all’Opera di Vienna. Dopo la Tosca a Tirana tornerò di nuovo a Vienna, questa volta al Konzerthaus, per interpretare la Messa da Requiem di Verdi con il Maestro Daniel Harding. Sarò poi a Zurigo per preparare la nuova produzione di Manon Lescaut, che rappresenta anche il mio debutto nel ruolo del Cavaliere Des Grieux, e poi la ripresa della produzione di successo di Les Contes D’Hoffmann. Seguiranno impegni in Spagna, Giappone e Stati Uniti.