Sada: La nostra industria appare indebolita - Le Cronache Ultimora
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Sada: La nostra industria appare indebolita

Sada: La nostra industria appare indebolita

Attività industriale in grande fermento con la questione dei dazi che tengono ancora col fiato sospeso gli imprenditori italiani. Antonio Sada, presidente di Confindustria Salerno, fa il punto della situazione.

 

Presidente, trovato l’accordo Ue-Usa sui dazi, con un tetto massimo fissato al 15%. Quali saranno gli effetti sull’export delle nostre imprese?

Tenuto conto che, complessivamente, la quota di esportazioni verso gli Stati Uniti si è attestata sui circa 66-70 miliardi di euro nel 2024, i costi diretti per le imprese italiane – come ribadito più volte nelle ultime ore anche dal presidente di Confindustria Orsini – potrebbero aggirarsi sui circa 22 miliardi di export in meno, anche considerata la svalutazione del dollaro sull’euro, che peggiora non di poco il quadro della situazione.

Ciò che è certo è che le barriere tariffarie volute da Trump colpiranno le aziende in maniera non omogena. In uno scenario competitivo così agguerrito, il rischio di marginalizzazione per l’industria europea, così come per quella italiana che resta la seconda manifattura d’Europa e la quarta esportatrice al mondo, si fa sempre più concreto.

L’introduzione di nuovi dazi su un mercato chiave come quello degli USA potrebbe avere in particolare un impatto diretto soprattutto sulle piccole e medie imprese che hanno investito per anni su qualità, internazionalizzazione e sostenibilità, come quelle del nostro agroalimentare.

Ora il rischio è di vedere compromessi i risultati raggiunti.

Cosa fare dunque per preservare la competitività europea e italiana?

Non possiamo restare inermi, in balia dell’incertezza. Occorrono risposte urgenti, veloci e univoche.
Va rafforzata innanzitutto l’autonomia strategica dell’industria europea, senza che questo equivalga a un muro contro muro con gli Usa, dannoso proprio per le imprese più competitive e orientate all’export. In più, dobbiamo accelerare sugli accordi di libero scambio con altre aree del mondo pronte per i nostri prodotti e in grado di riaprire spazi nuovi di cooperazione, soprattutto con quei paesi emergenti dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. Sarebbe poi fondamentale che l’Ue finalizzasse l’accordo con il Mercosur con il suo bacino di circa 20 trilioni di dollari e oltre 700 milioni di consumatori, secondo Export.gov.it., che vale tra i 4 e i 7 miliardi di export per l’Europa.

Le aziende hanno bisogno di stabilità e certezza, le grandi assenti in questo momento. Al netto dell’effetto dei dazi, infatti, dopo due anni di flessione della produzione con costi energetici oramai insostenibili, la nostra industria appare indebolita, rallentata da troppi vincoli che ne riducono la competitività rispetto a Paesi con regole, sistemi fiscali e infrastrutture più favorevoli.

Altro passo di fondamentale importanza sarebbe infatti avviare, con decisione, un nuovo piano industriale per l’Italia e per l’Europa, basato su due pilastri altrettanto imprescindibili: il taglio immediato dei costi energetici e la drastica riduzione della burocrazia che complica, frena e rallenta e gli investimenti.
L’industria italiana ha costruito il proprio successo sull’apertura, sull’innovazione e sull’internazionalizzazione. Dobbiamo difendere questi pilastri, difendere la nostra identità, anche in un mondo che cambia rapidamente e pone nuove sfide alla nostra competitività.